"Bosforo e le sue sorelle", settima puntata

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E così siamo quasi arrivati all’inizio di questa storia, ovvero al maggio del ’79, quando Bosforo passò a miglior vita.
Ma prima bisogna precisare che, in quella circostanza, il mio ruolo fu duplice, dato che da alcuni mesi, avevo rilevato l’attività di un altro mio prozio, Furio, fratello del nonno.
Allora qualcuno si chiederà : di che si tratta?
Claudina, laureata in filosofia, quale tipo di negozio avrà deciso di gestire: forse una libreria o chissà, un’erboristeria, vanno di moda adesso. O magari un locale dove si gustano tè e poesie.
Niente di tutto questo.
La mia attività, tuttora fiorente e che mai conobbe crisi, è un’impresa di pompe funebri.
Furio l’aveva aperta alla fine degli anni ‘20, ma le sue dolorose vicende, tre mogli, tre vedovanze, niente figli, hanno reso la sua pur lunga vita impregnata di una certa malinconia, ben abbinata con l’attività commerciale di cui sopra.
La prima moglie, la dolce Caterina, sposata nel 1931, morì di tifo dopo un anno di matrimonio.
La seconda, Anna, rimase sotto i bombardamenti nel ’43. Fu colpita la loro casa, ma Furio, per l’appunto, era fuori per un funerale e mai si dette pace di questa tragica perdita.
Infine, a ottant’anni, nel 1977, contro il parere di sorelle e cognate, decise di prendere in sposa una bellissima fioraia quarantenne, Margherita, anche lei vedova.
Un ottantenne che sposa una donna che ha la metà dei suoi anni, un ottantenne ricco, si espone a tante critiche.
Tutti dicevano che lei si era sposata per interesse, “quella t…”, aggiungeva mia nonna.
Argentina, di carattere più dolce, sosteneva che, in fondo, Margherita poteva anche essere innamorata.
Beh, insomma, non saprei. Io mi ero astenuta dal giudizio ed ero stata l’unica delle nipoti a partecipare al matrimonio.
Ma Furio, nell’impeto del suo amore senile, commise un grosso errore : regalò una Jaguar alla sposina che non era una grande autista e, sei mesi dopo il matrimonio, prese una curva a dritto e anticipò il maturo consorte nell’aldilà.
Così lo zio Furio, ormai disperato, aveva deciso di lasciare l’attività e volle a tutti i costi che, dopo la laurea, facessi con lui un periodo di prova.
Non ero convinta, ma poi mi resi conto che anche un lavoro così particolare e un po’ macabro poteva essere creativo e diventai la titolare dell’impresa di pompe funebri dal suggestivo nome di “Eternità”.
(continua)