Una bella signora che richiede esercizio

Immagino la morte come una bella signora, dal sorriso ambiguo. Occhi truccati, una sciarpa tipo boa intorno al collo.
E' bella e affascinante quanto inquietante e silenziosa.
Quante volte l'ho incontrata nella mia vita professionale. All'inizio mi sono trovata ad assistere a ineluttabili morti improvvise da cui, come giovane medico, ma anche ragazza ancora impreparata al dolore, sono rimasta sconvolta.
Proprio in quel periodo, mi capitò di leggere un articolo sul rapporto tra il medico e la morte, così frequente, ma per cui non siamo in alcun modo formati. Nell'articolo si diceva quanto fosse problematico per un sanitario, preparato per guarire e rimediare, trovarsi di fronte al fallimento, all'impotenza e, perchè no, anche a prendere coscienza della propria finitezza, oltre che dei limiti della scienza.
In seguito, ho lavorato in ambiente oncologico, vedendo veramente di tutto. Dalla notizia di malattia alla sua evoluzione sfavorevole. Imparare a dare cattive notizie non è facile, specie nei casi in cui non c'è rimedio.
Non posso dire che un medico si abitui davvero alla morte, piuttosto impara a conviverci, ad accettarne la presenza costante.

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Ma il medico è anche persona e, oltre alla sua vita professionale, ha una sfera privata dove non è risparmiato da incontri ravvicinati con la bella signora.
Così il tempo passa e si affrontano perdite e dolori, qualcuno più naturale, altri davvero inaspettati e terribili.
Capita poi di assistere a tragedie che riguardano altri, il bagaglio aumenta.
A un certo punto succede che la maggior parte delle persone significative nell'infanzia e nella prima giovinezza non ci sono più.
E' un po' come camminare in gruppo, poi voltarsi e non vedere nessuno.
Tutto scorre, panta rei.
Tutti gli uomini sono mortali.
Socrate è un uomo.
Socrate è mortale.
Io sono mortale.
Acquisire la perfetta coscienza di queste affermazioni non è immediato, piuttosto un percorso lungo, progressivo, spesso inapparente.
Alla mia età, cominci a pensare che, in ogni caso, la parte maggiore (e probabilmente anche migliore ) della vita è trascorsa.

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Passati i sessanta, ci sono due atteggiamenti frequenti. Quello giovanilistico, di chi non vuole assolutamente prendere atto della "scadenza", donne che si correggono le rughe e si comportano come ragazzine, uomini sessantenni che, per contro, guardano le ragazzine.
Poi c'è il tipo patofobico, persone che pensano solo alle malattie, sono terrorizzate dalla possibilità di morire, che parlano continuamente degli esami che hanno fatto, del colesterolo, della pressione, delle terapie che fanno. Peregrinano da un medico all'altro, atterriti. Praticamente vivono da malati, nella speranza di morire da sani o meglio non morire affatto.
Per quanto mi riguarda, cerco di vivere al meglio, di cogliere ogni attimo di felicità. Sono diventata molto più brava, con gli anni, a fare attenzione all'attimo fuggente. Da ragazza ( e anche fino a qualche anno fa), ero piuttosto ansiosa, incontentabile, perdevo per strada molti bei momenti.
Ora, invece, soprattutto da quando non lavoro più in ospedale ed ho ritmi più umani, mi capita spesso di fermarmi a gustare attimi di pace o di amore o semplicemente piacevolezze minuscole e personali.
Avere coscienza della finitezza della mia vita, mi porta a non averne paura, ma piuttosto a guardarla con simpatia. Questo termine potrà sembrare strano, ma è ciò che provo.
Giorni fa pensavo di scrivere un libretto "Esercizi di felicità", proprio partendo da questo concetto.
Sono sempre stata un tipo studioso e metodico, convinta che alla base di tutto ciò che è positivo vi sia una sorta di esercizio costante che rende capaci di vedere il lato buono della vita.
Può darsi che lo faccia, già partecipare a questo contest è un piccolo esercizio.
L'altra sera, mentre tornavo a casa dopo una piacevole giornata, mi sono fermata accanto a una fontana zampillante e mi sono segnata quel momento di perfetta completezza. Una sorta di fotografia mentale di un evento semplice, nulla di eccezionale, ma che mi ha rinnovato il gusto della vita.
Potrà sembrare paradossale, ma proprio queste sensazioni rendono accettabile e non spaventosa l'dea della mia dipartita. E' come se vedessi la mia storia come una sorta di sfera, tutto sommato luminosa, comunque completa, anche se ancora ho progetti e aspettative.
L'ora in cui suonerà la campana non è dato sapere, ma rendere ogni momento prezioso è possibile, bisogna solo non scordarsi che la bella signora ci aspetta ed esercitarsi a riempire l'attesa di significato.

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