Al Capone e quando fu arrestato per evasione fiscale...

in #ita5 years ago

17 ottobre 1931
In un'aula del Palazzo della Corte Federale di Chicago il giudice era in procinto di leggere la sentenza finale del processo contro l'uomo più potente della città. Il suo nome era Alphonse "Al" Capone. L'imputato, sicuro del suo potere e dei suoi "agganci" ostentava grande serenità. Le cronache di quel tempo raccontavano che egli fosse entrato ogni giorno con un abito diverso in aula: dal blu al grigio, al marrone al porpora. Alcuni dissero che per lui il processo fosse stato soprattutto una bella sfilata di moda. Ed effettivamente Capone non aveva motivo di essere agitato e dimostrava grande ottimismo sull'esito del processo.

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CC0 Creative Commons

Al Capone non era un gangster di primo pelo: il suo esordio nel mondo del crimine risaliva infatti alla fine del 1919; fino a quel momento aveva vissuto a New York, esercitandosi in omicidi ed in altri crimini di poco conto. Nel 1921, due anni dopo, ci fu la svolta per lui: egli ricevette una telefonata che gli avrebbe cambiato la vita. A chiamarlo era Johnny Torrio, un pezzo grosso di Chicago. Dopo quella telefonata, Al Capone inizierò a lavorare per lui.
In poco tempo divenne il punto di riferimento per la malavita nella città di Chicago e forse proprio una legge emanata dal governo statunitense fu per lui il trampolino di lancio: il proibizionismo gli dette l'opportunità di generare un mercato nero attraverso il quale generare profitti che altrimenti difficilmente avrebbe incassato: chiunque in città avesse voluto bere dell'alcol in determinati locali illegali (i così detti "speak easy") si sarebbe dovuto rivolgere a lui. Capone riuscì a guadagnare tantissimo in poco tempo, ma si contraddistinse per l'essere invidioso anche di quei pochi concorrenti in città. Decise così di sbarazzarsene ed all'alcol si affiancarono anche le armi, con le quali fece strage di chiunque scegliesse di pararglisi davanti a lui. Il sangue per le strade di Chicago scorse a fiumi, ma ciò non lo fermò certamente ed ampliò il proprio mercato anche al gioco d'affari ed il racket, con il quale diventò l'effettivo padrone della città, sostituendosi a tutti gli effetti al governo statunitense. Per certi versi Capone venne considerato il sindaco della città, avendone ormai il completo controllo.
Così cercò di andare sempre oltre: non volle essere soltanto un criminale, ma portò la sua figura al di sopra di tutto: così nacque la figura dello "stile da gangster"; si aggirava per la città con auto lussuosissime, giganteschi anelli alle dita, abiti sgargianti a doppiopetto accompagnati da cappelli, cravatta, camicia bianca, panciotto e fazzoletto nel taschino. L'accessorio definitivo fu dato dal sigaro.
Il regno di quest'uomo sembrava non poter aver fine.

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CC0 Creative Commons

Nel momento in cui però la parabola di Al Capone toccò l'apice, i suoi rivali nel campo della criminalità incominciarono a farsi più agguerriti ed incominciarono a bramare contro il suo dominio cittadino assoluto. Mossi quindi da una voglia di spodestare il loro "incubo", una banda di irlandesi, i quali competevano con Capone nel traffico degli alcolici, decisero di reagire; la punizione che Capone esercitò su di loro fu durissima: il gruppo di Al tese un agguato a 7 irlandesi che furono uccisi con colpi di fucile alla schiena. Questa passò alla storia come la strage di San Valentino (14 febbraio 1929). Capone comprese di averla fatta troppo grossa e quindi pagò sottobanco alcuni agenti della polizia per farsi mettere in galera.
In questa condizione, protetto dalle mura della prigione, ipotizzò di trascorrere lì il tempo necessario perché la situazione fuori si tranquillizzasse. Le sue previsioni, però, non rispecchiarono gli eventi futuri ed il suo piano gli collassò addosso.

Tutto cominciò a causa di un ostinato personaggio che a differenza della polizia di Chicago non intendeva farsi comprare dalle mazzette del re dei gangster. Eliot Ness volle vedere Al Capone definitivamente dietro le sbarre. Egli era un agente speciale che lavorava per il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti. Lui, insieme ad altri 9 agenti scelti, si lanciò in arresti, sequestri, irruzioni e azioni di spionaggio. Ogni via sembrava la soluzione vincente. Ed alla fine proprio una soffiata fatta da un finto complice di Al Capone permise ciò che sembrava impossibile: trascinare il nemico numero uno davanti alla Corte Federale. Ma non con l'accusa di omicidio, estorsione o traffico illegale; Al Capone venne accusato di evasione fiscale!
Il gangster rimase incredulo e pensò subito si trattasse di una beffa. Come poter incolpare colui che ha seminato il panico nella città negli ultimi anni per omicidi ed ogni altro tipo di reato, per una "semplice e banale" evasione fiscale?
Arriva così quel famoso 17 ottobre 1931 con il quale avevamo iniziato il post. Quella sera, alle 10, la giuria tornò in aula con la sentenza e nelle orecchio di un incredulo Al Capone risuonò la parola: colpevole. Il re dei gangster fu così condannato a 11 anni di reclusione e trasferito nella prigione della vicina città di Atlanta. Lì trascorse i primi due anni della sua prigionia, prima che venisse ultimata la "superprigione" di massima sicurezza dedicata ai peggiori criminali dello Stato: Alcatraz.
Undici anni passarono alla svelta, ma quando Al Capone tornò in libertà non era più lo stesso e forse fu il caso di dire che fosse l'ombra di se stesso. Il crimine nel nord-est degli Stati Uniti non era certo scomparso, ma non era neppure rimasto immobile in attesa del suo ritorno ed ormai altri gangster avevano iniziato a fare il bello ed il cattivo tempo.
Al Capone morì otto anni dopo e venne sepolto a Chicago, la città che lo vide diventare uno dei peggiori criminali dell'inizio del Novecento: il suo potere calò a tal punto che non gli fu dedicato neppure un rito funebre.

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