Onde solitarie

in #ita5 years ago

I suoni in sottofondo sono essenziali per apprezzare la storia. Buona lettura!

Vagavo ormai da un tempo indefinito in quel mare che ormai chiamavo casa; io che per molti versi mi sentivo Ulisse alla ricerca di un'Itaca che neppure io sapevo dove fosse e come fosse fatta.
A pensarci bene, forse, non conoscevo la mia Itaca, ma sapevo chi fosse la mia Penelope. Quella donna che avevo lasciato troppo da sola e che ora, anziché rimanere a casa ad attendere il mio ritorno tessendo la sua tela, se ne era andata, forse, stufa delle mie assenze. E come darle torto: ero sempre in giro, via di casa ed ogni volta che avevo del tempo libero, la tradivo con lei.
Non saprei esattamente come definire quella che a tutti gli effetti era la mia amante; sì, perché si trattava proprio di questo: colei con la quale sfuggivo dalla mia routine quotidiana ogni volta che ne avevo l'opportunità e andando in giro a liberare la mia mente da ogni pensiero, piacevole o negativo che fosse. Il silenzio che ci rendeva una coppia indistruttibile si anteponeva a quel frastuono di urla con le quali invece la mia Penelope mi accoglieva quando tornavo a casa. Mi sgridava ed io rimpiangevo quei momenti in cui, invece, l'unico suono che riuscivamo a percepire era il suono delle onde contro il fianco della mia vela.
Lei, la mia vela, era ciò che amavo di più al mondo. La mia amante!

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CC0 Creative Commons

Il non-dialogo tra noi era una comunicazione fatta di cime e timoni, venti che gonfiavano le sue vele ed appunto le onde, semplici testimoni del nostro amore segreto, che si infrangevano contro i sui fianchi. Non c'era bisogno di parlare, visto che potevo, io, solo ascoltare i suoi suoni. Come un violino che ammalia i propri ascoltatori, anche io amavo ascoltare la musica che ogni giorno suonava nell'aria salmastra. Una melodia per le mie orecchie!
La fine della gita in mare aperto però troppo spesso in passato si era interrotta ed il ritorno a casa, dalla mia Penelope, mi faceva capire il motivo per cui la mia vela fosse così importante. Ogni momento della mia giornata era dedicato a lei, la mia vela, alla quale avevo dedicato tutta la mia vita, dopo che alcuni anni fa mio figlio morì.
Anche lui amava molto il mare ed il suo piccolo laser con il quale andava in mare, a solcare le onde ed ad essere spinto dal vento. Forse è per questo motivo che coltivo il mio grande amore per lei, visto che sarebbe stato il sogno di mio figlio, che non si è potuto godere il mare, il vento salmastro e la salsedine sulla pelle.
Il tempo non scorreva e la mia percezione di necessità di tornare a casa si faceva sempre più lieve. Fino a quando, un po' di tempo fa, non feci mai ritorno dalla mia Penelope.
Quale fosse la mia Itaca, non sapevo.
Quanto sarebbe durato questo lungo viaggio, non sapevo.
Se qualcuno stesse in pensiero per me, non avrei saputo dirlo, dopo che avevo lanciato il mio telefono in mare ormai molte miglia fa e con esso tutto il frastuono quotidiano

Di fronte a me solo l'orizzonte ed il mare, che per me, avevo deciso, sarebbe stata la mia casa per i prossimi mesi. Il lento vagare senza meta sarebbe stato il motivo che mi avrebbe spinto giorno dopo giorno a girare per il Mediterraneo e forse, nelle vesti dell'Ulisse in cui mi riconoscevo, attraversare quelle Colonne d'Ercole che in passato erano stati per molto tempo i confini del mondo. Ma io non conoscevo limiti e la mia mente aveva bisogno di aprire i propri cancelli e raggiungere mete inesplorate.
Alcune volte il mio pensiero tornava anche alla mia Penelope, che probabilmente era in pensiero per me. Ma speravo che in modo razionale avrebbe dovuto fare la sua scelta di lasciare la nostra casa e cercare qualcuno che tenesse più a lei. Dopo la morte di Francesco, il nostro legame si era disciolto come un cubetto di ghiaccio al sole d'agosto ed eravamo due sconosciuti che vivevano sotto la stessa casa. Egoisticamente avevo preferito a lei quella vela, legame che mi aveva unito a mio figlio in passato ed ancora oggi per proseguire quel viaggio interrotto anni prima, proprio da lui.

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Scesi in coperta, presi l'urna che avevo attentamente adagiato nell'armadio e la portai fuori. Il sole era basso all'orizzonte di fronte a me. Aprii il contenitore e vidi all'interno le sue ceneri. Lentamente, quasi in un rito funebre, mi avvicinai verso la poppa della barca e con un semplice gesto vuotai il contenuto tra le onde. Il leggero vento sparse le polveri tra le onde, quasi come una scia che adesso rappresentava il passato. Ora Francesco era tornato al mare, quel luogo che aveva sempre amato e che non aveva fatto in tempo a vedere per l'ultima volta.
Chiusi l'urna e tornai con essa in coperta.
Mi sdraiai sul letto e caddi in un profondo pianto. Forse di tristezza. Forse di felicità!

Con questo racconto partecipo al contest settimanale di @spi-storychain in cui il tema era Barca a vela solitaria
con ambientazione Il mare. Per molti versi ho trovato ispirazione dagli ultimi quadri presentati dal mio amico @armandosodano, che hanno come tema proprio la vela ed il mare.

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Grazie Guido per averne celebrato il rito.

Grazie a te Armando per i bellissimi quadri che quotidianamente ci regali nei tuoi post!!!
Un saluto 😊👋

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