TRA I TETTI DI BANGKOK

in #ita5 years ago (edited)

La luna continuava a splendere sui tetti di Bangkok. In realtà definirli tetti non era il termine esatto, anche se era giusto riconoscere che quelle lamiere intervallate da lastre in ferro ormai arrugginito negli anni, erano l'elemento che separava gli abitanti di quelle bettole dal cielo. Da quella luna che, ancor più di quanto il sole avesse fatto di giorno, illuminava e rifletteva la sua luce intorno a me.
Le voci salivano fino a qui, provenienti dalle case, e percepivo ogni famiglia, ogni gemito ed ogni parola che potesse arrivare all'esterno. Non era un quartiere tra i più silenziosi e forse anche il traffico della strada che tagliava al centro questo isolato, era fonte di rumori ed una delle cause principali per cui quella sera non riuscissi a prendere sonno. In verità la motivazione era un'altra: avevo il brutto vizio di addormentarmi nel mezzo del giorno, forse anche a causa del caldo, e la sera, al fresco, girellare tra i tetti in cerca di qualcosa da rubare mi incuriosiva. Cercando qualcosa da mangiare, visto che il mio piccolo stomaco continuava ad agitarsi e farfugliare ed alle mie orecchie suonava come un "ho tanta fame!"
A pensarci bene era circa due giorni che non mettevo qualcosa sotti i denti: non ero come gli altri miei simili, che prima di rimanere digiuni preferivano andarsi a cercare qualcosa nella spazzatura. Io non avrei mai sporcano le mie zampette bianche e candide tra la spazzatura e magari per trovare qualcosa di freddo. Ero il gatto più bello del quartiere ed ero rispettato da tutti, proprio per il mio pelo, per la mia presenza splendida e per i miei colori.

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CC0 Creative Commons

Trovare da mangiare, in quel momento, era il mio unico imperativo e la bellezza delle pagode in lontananza non erano, per me, niente di particolarmente importante: conoscevo una sorta di tavola calda, dove in passato ero già passato a rubare qualche avanzo. Probabilmente lì avrei trovato qualcosa, a meno che i miei colleghi non mi avessero già anticipato. I tetti erano il mio habitat prediletto, dato che qui potevo muovermi senza che nessuno mi disturbasse e preferivo questo ambiente solitario, in cui mi sentivo veramente a mio agio, rispetto alla strada, la penombra e l'umido che il terreno solitamente rilascia.

Dopo poco raggiunsi proprio la tavola calda che stavo cercando: nella zona anteriore il via vai di persone e di clienti era molto frenetico e sicuramente l'attenzione dei proprietari e del ristorante era rivolata verso di loro, così che io mi sarei riuscito ad intrufolare facilmente, magari rubare qualche polpetta di pesce e subito dopo fuggirmene via tra i tetti, senza testimoni. Il piano era perfetto e la mia furtività non avrebbe fatto altro che aiutarmi nella mia impresa.
Le finestre sul retro erano ovviamente aperte ed affacciarmi sull'interno fu un gioco da ragazzi. Le polpette erano in un tegame poco lontano dalla mia posizione, ma ciò che al momento mi preoccupava di più, era un cane di colore nero enorme nel lato opposto della stanza. Probabilmente uno dei più grandi che avessi mai visto; per fortuna stava dormendo ed il suo ronfare lo si notava anche da fuori. Con un balzo mi intrufolai all'interno: un occhio sempre puntato sul cane, che con tranquillità stava continuando a dormine e l'altro sulle polpette, che al momento erano per me come una calamita. Saltai sul tavolo e quando mi ritrovai ad appena un passo dalla mia porzione di polpette, un'ombra da dietro calò su di me. Tentai un balzo in avanti, fugace, ma fu inutile. Fui avvolto da un panno, una coperta o un sacco in yuta. Tentai di dimenarmi, tirai fuori gli artigli, ma il buio che mi aveva improvvisamente circondato, quasi mi stordì. Al di fuori sentii voci umane e soprattutto il forte abbaiare del cane, che ora sembrava essere sveglio e vigile.
Fui scosso un po' a destra, poi a sinistra, fino a quando non vidi nuovamente la luce. Fui preso da una frenesia implacabile, tentai una fuga, ma appena ci andai a sbattere con il muso, capii di essere chiuso in una gabbia. Al di fuori c'era un umano, probabilmente un cuoco, che urlava contro di me, mentre in mano stringeva anche una mannaia, che agitava contro di me. A rendere la scena ancora più paurosa, il cane abbaiava e ringravia a poca distanza dalla gabbia ed ora sembrava ancora più grosso e cattivo. Avevo così tanta paura che in pochissimo tempo dimenticai la fame.

Passai diverse ore in quella gabbia. Rimasi solo, con il cane che a pochi metri da me, mi controllava costantemente, senza perdere un attimo di vista il suo bersaglio. Nella mia mente tutte le possibili ipotesi su ciò che sarebbe capitato di li a poco: una fine orrenda per mano del cuoco e della sua mannaia, in pasto a quel cane famelico oppure dentro il forno, cotto. Avevo in lontananza anche idee positive di cosa mi avrebbe aspettato: una liberazione lontana da qui poteva essere uno splendido finale per una dura disavventura.
Però più tempo passava e meno queste visioni positivistiche si facevano realizzabili, a favore invece di quelle che mi vedevano punito per il mio agire irresponsabile.
Poi d'un tratto, dalla porta entrò lo stesso uomo che prima mi aveva catturato: aveva un sorriso sbeffeggiante sul suo volto, mentre nella mano stringeva la mannaia. Le mie previsioni positivistiche furono spazzate via come le foglie mentre cadono dall'albero in una giornata di forte vento autunnale. Capii ben presto di essere arrivato al capolinea.
L'uomo aprì la gabbia e mi afferrò da dietro la testa: la sua presa era ferrea e mi bloccò con le due mani, mentre il cane, al di sotto di me, continuava ad abbaiare, come se stesse chiedendo al suo padrone di armi in pasto a lui. Intuii che in quel momento avrei dovuto giocare le mie ultime carte: sperando che fossero quelle giuste per vincere una partita, in cui ero a tutti gli effetti spacciato.
Con un morso alla mano del cuoco, egli allentò la presa e con un balzo mi lanciai a terra. Il cane era poco dietro di me, ma adesso la mia massima preoccupazione doveva essere cosa avessi di fronte, più che cosa stesse accadendo alle mie spalle. Mi lanciai fuori da quella stanza, passando dalla porta che era socchiusa.
Sapevo che se avessi raggiunto il tetto, lì, sarei stato salvo. Era il mio habitat e nessuno conosceva ogni angolo, ogni via di fuga come me. Corsi al massimo delle mie possibilità, saltando da una cassa ad un barile, fino a quando non mi trovai sul tetto di un'abitazione. Avevo compagnia però dietro di me: il cane non mollava l'osso!

NON VOLTARSI!
Questo era l'imperativo; continuare a correre senza un'esatta meta, visto che non esisteva luogo sicuro. Il rullare delle mie zampe sulle lamiere dei tetti era una piuma in confronto al grande peso che il mio inseguitore scaricava sotto di lui. Sembrava un tamburo che non voleva nè smettere nè allontanarsi. Purtroppo, la curiosità, mista alla speranza di essermi distaccato dal cane che mi braccava, mi spinse a voltarmi per controllare dove fosse: era lì, poco lontano da me. Ciò che però compromise la mia fuga, fu proprio quella fatidica distrazione: senza guardare dove stessi andando, finii per cadere in uno spazio che separa due case. Il cane in un estremo gesto di cattura, cercò di mordermi, ma non ci riusì. Io caddi per alcuni metri, fino a quando il mio precipitare non fu interrotto da un morbido sacco della spazzatura, che sfondai. Ero finito effettivamente all'interno dell'immondizia di un'abitazione. Rimasi immobile, timoroso che il cane si stesse aggirando ancora in zona. La puzza, indescrivibile, avrebbe nascosto la mia presenza al fiuto del cane.

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Attesi un'ora, forse due...persi la cognizione del tempo e decisi di uscire solo quando il sole in lontananza, incominciò ad illuminare Bangkok. Ero sporco, ma soprattutto puzzavo di pesce. La spazzatura nella quale ero finito, non era di una semplice abitazione, ma di un ristornate di pesce. Anzi, una bettola.
Schifato dalla mia condizione, mi ricordai infine, che ancora non avevo cenato. Pensando di andare a rubare del cibo da qualche parte, mi mise i brividi e stranamente fui attratto proprio da del pesce che usciva dall'immondizia. Quello sarebbe stato il mio pasto. Per quella volta e per molte altre volte future!

Con questo contributo partecipo al contest settimanale di @spi-storychain in cui il tema della settimana era l'inseguimento e l'ambientazione i tetti.

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