"Sulla Mia Pelle": Un film struggente che entra sotto pelle

in #ita6 years ago

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Sulla Mia Pelle

Un film sontuoso,  che ti entra sotto pelle  

    Quando l'omertà fa rima con omicidio  
      

Il caso Stefano Cucchi. Basterebbe questo incipit per in qualche modo invitarvi a guardare il film, per approfondire una volta per tutte quello che è stato un evento destabilizzante e mediaticamente rilevante degli ultimi anni in Italia.
Sarebbe, però, riduttivo nei confronti della storia umana e sociale dietro la vicenda Cucchi marginalizzare tutto ad un evento a se stante che ha fatto rumore.
"Sulla mia pelle" è un film di inchiesta, serio, struggente che si interroga sullo stato di salute della nostra realtà, del sistema giudiziario, sanitario italiano e su come, a volte, il silenzio sia più letale di mille pugnali, di centinaia di palottole.
Alessio Cremonini, alla sua opera prima, stupisce il mondo con uno dei film più belli dell'anno e forse uno dei più crudi dell'ultima decade.
Un film che sotto altre vesti sarebbe stato probabilmente tra i papabili alla corsa all'Oscar di febbraio 2019.
Un film che non lascia indifferenti.
100 minuti con il cuore in gola mentre le immagini frame dopo frame ti prendono a calci nello stomaco grazie anche alla superba interpretazione di quel fenomeno tutto italiano che è Alessandro Borghi.





    Uomini dietro le divise?  

Cremonini ha lavorato moltissimo per sottrazione in questo film, facendo proprio il motto hitchcokiano "Show, don't tell".
La sua scelta è stata quanto mai azzeccata, regalando ad un film durissimo e permeato di violenza una delicatezza irraggiungibile.
La "massa" sa poco del caso Cucchi ma di sicuro ricorda che esso si verteva su una violenza perpretrata da dei carabinieri verso un ragazzo che spacciava droga il quale morì presumibilmente in seguito a quelle percosse.
Tutto quello che c'era stato in mezzo non è noto ai più.
La maggioranza delle persone dunque si sarebbe aspettata scene molto insistite su quei 2 momenti: l'aggressione e la morte.
Cremonini sceglie di non mostrarci questi momenti e con questa scelta (per sottrazione) riesce a caricare il film di maggiore angoscia, di maggiore spessore emotivo.
Sappiamo che Stefano Cucchi è entrato nella caserma dei Carabinieri senza un graffio. Sappiamo che ne è uscito con il volto tumefatto, 2 vertebre rotte e la schiena a pezzi e livida, mascella rotta e quasi impossibilità a restare in piedi.
Questo è agli atti. E' dimostrato.
Non mostrare il come sia avvenuto tutto ciò è atto di delicatezza verso il pubblico, verso la famiglia e verso il cinema tutto, quello alto che non ha bisogno di raccontare tutto ma ha bisogno di aprire gli occhi alla gente e metterlo di fronte a se stessa.
Il film è pieno di riferimenti puntuali ma è il contesto che viene tratteggiato che eleva il film ai massimi livelli.
Ne usciamo provati fisicamente oltre che emotivamente perchè ci immedesimiamo volta per volta in dei genitori che si sono fidati della legge salvo ricevere una notifica in pieno giorno che il proprio unico figlio maschio era deceduto in carcere.
Ci vestiamo dei sensi colpi della sorella Ilaria per non aver fatto di più.
Ci caliamo nel corpo tumefatto, stanco e distrutto di Stefano e dei suoi inutili tentativi di farsi curare, di farsi notare, di contattare il suo avvocato per 7 giorni filati nell'indifferenza e soprattutto nell'omertà generale.
Empatizziamo per tutti quei carabinieri e poliziotti genuinamente preoccupati per le condizioni di Stefano ma che in quel sistema non avrebbero mai parlato contro dei colleghi e a favore di uno spacciatore.
Ne usciamo scossi perchè durante 100 minuti di visione ci siamo fatti carico delle sofferenze di tutti e quel corpo senza vita mostrato alla fine è solo il manifesto di tutto quello che poteva essere fatto e non è stato fatto.
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   Ricapiterà ancora  


Su una cosa bisogna essere molto netti. "Sulla mia pelle si preoccupa di mostrarci quanto avvenuto nella maniera più cruda, vera e dettagliata possibile ma lo fa seguendo atti, testimonianze interne al processo ed esterne senza mai parteggiare per l'uno o l'altro ma per calarci dentro il contesto, la realtà della macchina giudiziaria, esecutiva, sanitaria e burocratica italiana.
Ne viene fuori un paese fermo, fatto di indifferenza, di leggiucole e normative rispettate dalla gente comune per fiducia nelle istituzioni o per fiducia che dall'altro lato un figlio non stia morendo dopo essere stato picchiato da chi quelle leggi dovrebbe farle rispettare e applicare.
Nonostante questa denuncia, nonostante questa chiara direzione che il film prende esso non ci mostra Stefano Cucchi come un eroe, ne i singoli carabinieri come violenti assassini.
Stefano è un ragazzo amato e di buona famiglia che ha fatto scelte sbagliate, scelte che probabilmente lui stesso non avrebbe voluto fare e reiterare. Un pesce piccolo preso come capro espiatorio per impartirgli una lezione e sfogare ansie e frustrazioni di una vita a 1000 euro al mese passata a rincorrere tossici, furbetti, ladruncoli.
L'arma ne esce dilaniata ma i singoli non vengono gettati in pasto alla piazza per farne carne da macello.
Non sono loro i veri colpevoli ma l'intero sistema.
Se le 140 persone che hanno visionato, visitato, parlato con Stefano Cucchi in quei giorni avessero avuto un impeto, un risveglio della propria coscienza, se anche solo una di loro lo avesse fatto oggi Stefano Cucchi sarebbe ancora vivo.
Più che l'atto della violenza in se sono le conseguenze interne di quell'atto a farci stare male, è la consapevolezza che l'omertà e la protezione del proprio sistema, del proprio gregge è talmente diffusa e inviolabile che quello che è successo a Stefano era capitato già e capiterà ancora.
Lo accettiamo durante il film, è qualcosa a cui lentamente ci rassegniamo e minuto dopo minuto ne usciamo sfiancati, dilaniati mentre lo accettiamo.


Quando la finirete con sta stronzata delle scale?
Quando le scale smetteranno de menarcè!


La protezione di quelle barbarie è quella che da più fastidio, che fa stare più male.
Un maresciallo che copre quel misfatto è tanto colpevole quanto gli aggressori.
Il secondino che nota il malessere di Cucchi e decide di star zitto dopo essere stato intimidito da un suo superiore non ha forse una dose di colpa?
I medici che uno dopo l'altro hanno provato a far confessare Stefano senza mai esporsi non sono forse umanamente complici degli aguzzini?
I poliziotti che sanno che dietro quel "son caduto dalle scale" si nasconde un pestaggio ma che nulla han fatto non dovrebbero essere anche essi accusati di "mancato soccorso"?
Ed il giudice che ha guardato in faccia quel volto tumefatto?
L'avvocato di ufficio?
Tutto il sistema ha fallito.
Tutti gli esseri umani che hanno visto quel volto, scegliendo di girarsi dall'altro lato, hanno fallito.
La somma di tutti questi fallimenti ha portato quel giovane, per quanto perduto e delinquente possa essere stato, a morire.
Se un film d'inchiesta deve indagare e farci riflettere allora "Sulla Mia Pelle" è un film di inchiesta come non se ne vedevano da anni.
Che lo vediate su Netflix, al cinema o in piazza poco importa, guardatelo.
Sarete orgogliosi del cinema italiano e vi vergognerete al tempo stesso di essere italiani.





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Perso tra le montagne di Twin Peaks mi ritrovai ad Albuquerque dove un furgone mi trasportò a Westeros e a Westworld successivamente dove ritrovai una cabina telefonica inglese con un Dottore pronto a giocare a Basket o a Calcio con me e a parlare di sociale, politica, futuro, persi come fossimo sull'isola di Lost.




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