Tre per Zero è uguale a tre - Libro I - Capitolo VII

in #ita6 years ago

Ci eravamo lasciati ad un Garrincha preso sempre di più da Bianca.
Ma come già anticipato, la storia ora prenderà la sua vera piega, per cui rimanete accorti, che le coincidenze non sono sempre tali.
Ad ogni modo, è il caso che vi anticipi la struttura del romanzo. A grandissime linee, per non rovinarvi le sorprese.

Il romanzo come sapete si chiama TRE PER ZERO E' UGUALE A TRE.
E' diviso in tre parti, ognuna con un suo nome, molto simile al principale:

  • Parte I: Tre per uno è uguale a tre
  • Parte II: Tre per due è uguale a tre
  • Parte III: Tre per zero è uguale a tre

Non vi spiego perchè si chiamano così, ma ci arriverete. Buona lettura!

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CAPITOLO VII COINCIDENZE

Garrincha si presentò il giorno dopo a scuola con delle fototessere. Arrivò appositamente in lieve ritardo per trovare tutti in classe ed esordire vittorioso mostrando il suo trofeo.

«Guardate qui!» fece riferendosi ai compagni intenti a cazzeggiare ancora qualche minuto prima di dover subire tre ore di lezione.

«E che è?» fece Cina senza neanche alzare lo sguardo.

«La mia ragazza. Almeno credo, cioè non ce lo siamo detti chiaramente, ma in sintesi si».

«A quindi è finito er periodo delle pippe?» proseguì sempre il Cina, mentre gli altri si stringevano a Garrincha per vedere le fotografie.

«Aò sembra carina» commentò Jordan.

«Eh si, ma secondo me è venuta bene, sennò non si spiega che sta a fa’ co Garrincha» aggiunse sarcastico Scintilla.

«E’ una di classe, sa distinguere l’oro dalla pirite» esordì il professore, che era entrato proprio in quel momento in classe.

«Andate ai vostri posti che cominciamo».

I ragazzi si accomodarono immediatamente; il professore, di cui paradossalmente neanche sapevano il nome ed il cognome, era capace di metterli in soggezione con un solo sguardo, tutti eccetto Garrincha. Con lui era diverso. Nonostante la soggezione che uno studente prova nei confronti di un professore, era come se in qualche modo parlassero la stessa lingua, e quindi c’era più un tono di sfida tra di loro, che di reale timore reverenziale.

«Caro giovinotto, esibisce le foto con la sua bella? Bravo, mi compiaccio, la bellezza è una cosa da mostrare, l’amore lo è ancor di più. E non date per scontato la bellezza di un ricordo fotografico. La ricerca di una macchina per fototessere, i cinque euro per esprimere un’emozione, sono tutti ingredienti che renderanno ancora più viva quella sensazione di felicità. Fosse tutto più semplice, fareste una quantità tale di autoscatti da non ricordare neanche di esserveli fatti. Tenetelo bene a mente ragazzi, la bellezza di un ricordo sta in quanto forte sia stata l’emozione che lo permeava, ma la sua unicità sta in quanto sia stato difficile poterlo immortalare. Per cui evitate in futuro di riempire la vostra vita di scatti che non vadano a ricordare nulla di realmente interessante».

I ragazzi non avevano capito nulla. Cosa significava quel discorso? Una foto tessera aveva tutta questa importanza? I ragazzi si guardavano e non capivano. Forse un giorno le persone avrebbero investito soldi su soldi alle macchinette delle fototessere? In realtà quei quattro giovanotti non potevano sapere cosa sarebbe diventato un autoscatto a distanza di pochi anni. Loro non potevano saperlo.

«Prof, io sinceramente non ho capito nulla» rispose Scintilla.

«Manco io» aggiunse Cina.

«Giovanotti è normale. Pochi capirebbero detta così.»

«Appunto, cioè chi è che si farebbe mille foto a cavolo scusi, sarebbe un folle no?» replicò Scintilla.

«Potrei anche essere d’accordo con te, ragazzo. Ma la realtà è che le cose non sono mai come sembrano. La maggior parte della tecnologia che oggi usate in casa, come internet, nasce per ben altri intenti rispetto a quelli che ne fate. La stessa macchina per foto tessere nasce per coloro che hanno bisogno di una foto per documenti, e non per scattarsi una foto ricordo. Voi giovincelli non vi rendete conto, ed è giusto che sia così. La giovinezza richiede che siate sprovveduti. Una sola cosa posso dirvi: imparate a osservare le cose non con i vostri occhi, ma con quelli degli altri. Scoprirete di essere accecati, come a sfidare una giornata di sole.»

Questa frase generò un improvviso silenzio. Che lo stesso professore volle interrompere.

«Con questo intendo dire che le cose non vanno viste sempre dal proprio punto di vista. Dovete ascoltare chi vi suggerisce una visione alternativa. Pensate a chi realizzò la prima bomba atomica. Di certo non aveva studiato a fondo la scissione nucleare per generare una bomba di quel tipo, ma non essersi fermato quando sapeva di poter creare un tale abominio è stata pura scelleratezza, non credete?»

«Professore io non credo, non è l’oggetto, ma l’uso distorto dello stesso che ne mina l’importanza e l’utilità» rispose Garrincha.

«Giovinotto, noto con piacere che non ha la testa tra le nuvole pensando alla sua Bianca, mi compiaccio. Ad ogni modo gli usi vengono distorti da coloro che ne sono destinatari, lo dovrebbe sapere. E può un inventore avere un controllo su di essi? E di tutti gli errori durante la realizzazione di un oggetto? Non ne teniamo conto?» disse il professore, come fosse un fiume in piena, poi si alzò di scatto e aggiunse ancora «E vale forse la pena di far esplodere isole, distruggere ecosistemi, lanciare missili su pianeti? Mi dica è accettabile tutto ciò in nome della scienza?!!?».

«No che diamine! Non lo è!» concluse battendo i pugni sul tavolo. «Noi non siamo i padroni di tutto questo! Noi non possiamo modificare le cose per i nostri bisogni!» e con questa frase si sedette con un tonfo secco.

Garrincha e tutti gli altri erano saltati sulle loro sedie. Il professore era partito lentamente nella sua esposizione, ma mano mano che continuava si accese sempre di più, fino ad esplodere in una affermazione incontrovertibile.

«Ma questo è pazzo» disse sottovoce Jordan a Garrincha.

«Cazzo si. Però il punto non è questo. Come cazzo faceva a sapere che la mia ragazza si chiama Bianca? Io non gliel’ho mai detto, siete stati voi?»

«Ma te pare mi metto a parlare con quello? Forse sei stato te, o no?»

«Non mi pare» aggiunse il giovane, mentre ripensava al caffè del giorno prima. «Che lo abbia detto in quella occasione?» pensò tra se e se.

Il professore stavolta era stato poco accorto, debbo ammetterlo anche io. Vista da come solo ora posso fare, mi rendo conto che il professore si era scoperto, e Garrincha iniziava a notare una serie di coincidenze non casuali.

«Aspetta un attimo. Non solo il suo nome, ma anche il messaggio sull’autobus. Lo sapeva. Sapeva che avrebbe risposto. Possibile?» pensò a voce alta.

«Te sei mezzo matto. Ti ha visto mandare un messaggio mentre eri su un autobus?» disse Jordan.

«Si, e ha detto che tempo venti minuti avrei avuto una risposta».

«Che immagino sia arrivata vero?»

«Esatto.»

«Sei il solito ritardato. Ha sparato il tempo medio che una ragazza ci impiega per rispondere. Ed il fatto che sappia il nome di Bianca è dovuto al fatto che è il suo professore, che sei così rincoglionito da non ricordarti dove l’hai incontrato la prima volta?»

«Cazzo hai ragione…. Mi sto imparanoiando troppo forse.» concluse Garrincha. Che però aveva tralasciato altre due coincidenze per strada, quelle rivelate al bar. Il verbo avere al futuro era passato inosservato e anche la previsione sull’ora di greco. Fosse stato più attento le cose sarebbero andate forse diversamente, ma come poteva esserlo con il cuore che faceva a pugni con la logica?

Il professore era quindi inconsapevolmente salvo. Aveva esagerato nella sua sicurezza, ma il caso aveva voluto che gli fosse andata bene. In fondo era un furbo con i controcoglioni, non nascondiamocelo, che giocava col fuoco sapendo di volersi scottare. Si lo so è tutto poco chiaro, ma vi assicuro che con un pò di pazienza le cose saranno chiarite.

«Quindi giovinotti miei, futuro di un mondo che non conoscete, non cercate strade semplici, e non fatevi ingannare da distrazioni frivole e confezionate per voi. Non temiate il rischio, il dolore, le gioie. Non abbiate paura della morte, perché noi siamo mortali e il tempo su questo pianeta non pensa a noi. Al massimo siamo noi a preoccuparci di lui. Ed infatti oggi parleremo della relatività del tempo, contenti giovinotti?»

Ci fu un silenzio-assenso dovuto alla paura di una nuova sfuriata del professore, il quale notando questo clima di tensione cercò di intervenire.

«Suvvia giovinotti, meno timore reverenziale, prima stavo teatralmente esprimendo un concetto, nulla più. Chi conosce la teoria della relatività? Almeno che ne abbia sentito parlare? Nessuno?»

L’aula continuava nel suo mutismo assoluto.

«Giovinotto capellone, lei neanche sa nulla?» disse il professore rivolto a Garrincha, il quale aveva evitato il suo sguardo proprio per non essere tirato in mezzo.

«No professore.» rispose secco.

«Lei mente.» fece immediatamente l’altro. «Lei mente. Lei ha ragionato così impudentemente e dettagliatamente con il sottoscritto poco tempo fa argomentando di tempo e spazio, e non sa cosa è la relatività? Probabilmente si sarà letto qualche cosa di Einstein, non lo nasconda alla classe…»

Garrincha trasalì. Il volpone era tornato all’attacco ed aveva colpito la lepre in fuga. Garrincha aveva un libro di Einstein, uno in cui spiega in maniera semplice ed accessibile parte delle sue idee. Un altra coincidenza?

«So solo che il tempo non è assoluto, ma relativo perché legato alla velocità. Due oggetti che viaggiano a velocità diverse, vicine alla luce, hanno uno scandire del tempo diverso. Questo so.»

«Esatto giovinotto, è a grandi linee la questione di cui parleremo. Vede come la memoria le fa brutti scherzi? Ora la questione è: lei alla luce di quello che ha detto qualche giorno fa, si azzarderebbe ad intervenire su grandezze di tali portata?»

«In che senso?» rispose il giovane.

«Lei sostiene giovinotto che intervenendo tramite appunto la relatività, all’interno di un ipotetico doppio universo, potrebbe ingannare il tempo. Ma si rende conto di cosa significa ingannare il tempo?»

«Lei intende i paradossi temporali, come in ritorno al futuro?»

«Esatto, proprio come nel film. Lei sarebbe così assurdamente cieco da cercare un tale rischio?»
«Credo si potrebbero evitare, lei non pensa?»

«E come? Stando attenti? A cosa? Lei vorrebbe viaggiare tra dimensioni o andare nel tempo senza sapere cosa incontrerà e vuole prevedere i rischi?» fece il professore spiegando le braccia.

«Non glielo so dire, però la scienza meriterebbe il rischio.» rispose Garrincha.

«E lei rovinerebbe l’esistenza di chissà quante persone per la scienza? Potrebbe impedire la nascita o la morte di chiunque anche solo modificando un oggetto di un altra dimensione o di un altra epoca, se ne renda conto. Se lei ama la fisica, non può usarla per un interesse personale giovinotto.»

Garrincha tacque. Il professore aveva colpito il ragazzo. Io so bene quanto il giovane fosse sensibile, ed una frase di questo tipo lo aveva fatto irrimediabilmente zittire e pensare a quante stronzate uno scienziato come Emmet brown avrebbe commesso nella realtà.

«Ed ora torniamo a noi..».

Il professore riprese la lezione e la portò avanti spiegando i problemi che determinavano le affermazioni di Einstein. Garrincha era preso dai suoi pensieri, si era chiuso in se stesso elucubrando senza fine sui paradossi temporali e i danni che potevano creare. Ero nella sua testa in quel momento, o meglio lo era il professore più di me, il quale continuava a spiegare senza mai distogliere lo sguardo dal giovane.

«E con questo è tutto Giovinotti, vi regalo cinque minuti di pausa, la concentrazione va sempre ripagata con un premio».
Gli altri si alzarono di corsa per andare a ricreazione, ed il professore andò da Garrincha, rimasto al banco ancora a pensare.

«Giovinotto lei vorrebbe diventare un fisico, QUEL tipo di fisico?»

«Mi piacerebbe. Ho sempre sognato di vedere il futuro, il tipo di futuro dove l’uomo potrebbe usare auto volanti o volare lui stesso con dei semplici scarponi. E’ un mio sogno ricorrente ed unire la mia passione per la fisica ad un volo pindarico è più di obiettivo».

«Se questo è il suo sogno, la invito più a realizzare quegli scarponi, che interferire con lo spazio tempo.»

«Si professore, ma a me non basta volare, io voglio di più.»

«Di più?»

«Si. Gli scarponi prima o poi qualcuno li realizzerà. E verrà dimenticato come l’inventore della bicicletta o del treno a vapore. Einstein invece è lì, immortale. C’è differenza.»

«Si giovinotto, c’è differenza. La stessa che c’è tra Einstein e la bomba atomica, come già ampiamente spiegato. La saluto».

Il professore andò via dall’aula lasciando di nuovo Garrincha nei suoi pensieri. Il ragazzo era testardo, molto testardo, ma anche tremendamente incline ad ascoltare i consigli. C’era una lotta dentro di lui che sarebbe stato meglio si concludesse diversamente da come poi è effettivamente andata. Ma non mi fate anticipare le cose. Ci arriveremo al futuro con calma, che raccontare eventi così complessi facendoli sembrare banali non è facile.

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