Only ITA (scritti) - COS'E' STATO IL POSTMODERNISMO? Parte 2 [by voiceoff]

in #ita6 years ago
Ho deciso di raccogliere tutti i racconti e gli scritti passati che ritengo più interessanti in un luogo unico e di pubblicarne di nuovi, così da tener traccia, nella continua e ossessiva opera di riordinamento che riempie le mie giornate, di ciò che ne è degno.

Ogni traduzione è un tradimento, a maggior ragione se la lingua di approdo non è conosciuta perfettamente. Qui si scriverà solo in italiano.





Cos'è stato il Postmodernismo? Seconda Parte.




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Cimitero San Cataldo, Modena, 1971-84, Aldo Rossi [immagine di pubblico dominio]

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Continuiamo quindi la "carrellata" su ciò che è stato il Postmodernismo ripartendo da dove ci eravamo lasciati.


Riassumendo abbiamo quindi capito quale è stata la vocazione di questa corrente che ha caratterizzato la fine del XX e l'inizio del XXI secolo: uno sguardo attento e interessato verso il passato, reinterpretato in chiave critica e disincantata nella constatazione dei fallimenti (o comunque delle aspettative disattese) di matrice modernista.

E' chiaro quindi, visto l'oggetto della critica, come i periodi storici che più interessavano erano quelli legati in maniera profonda al flusso classico, manifestatosi nel corso dei secoli a scadenze regolari, per così dire. Non ci si può stupire quindi quando si scopre che un'altra delle tematiche sviscerate era legata a Leon Battista Alberti e alle dinamiche di scambio fra città e campagna; una rivisitazione del periodo rinascimentale, talvolta in maniera utopica e del tutto radicale.

Per prima cosa non si può evitare di fare riferimento a Robert Venturi. Nel libro Complexity and Contradiction in Architecture elabora nuovi modi di progettare alla ricerca di "altro". Celebre il suo "Less is a bore!" (Il meno è noioso!), contrapposto all'ancora più celebre "Less is more" di Mies Van der Rohe. La Casa Venturi (sotto) fu uno degli emblemi postmoderni; una tradizione costruttiva che si pone in contrasto col moderno. Un "classicismo pop" fatto di colori e forme evidenti.

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Casa di V. Venturi, Filadelfia, 1964, R. Venturi [immagine di pubblico dominio]


Ma tornando alla campagna. Culot e Krier proposero di riprogettare integralmente la città di Bruxelles eliminando tutto il moderno. Consuegra ripropone elementi come portici e sistemi costruttivi che fanno dell'utilizzo del mattone il loro centro. Ma non si tratta più di un mattone "perfetto": i mattoni non sono tutti uguali. Cohen rievoca invece i sistemi in legno della vecchia farm, "la casa nella prateria". Si nota quindi anche un intenso dialogo fra Europa e America; pur trovandosi ad operare in contesti diversi i principi che gli architetti mettono in atto sono analoghi.

Nell'ambito delle visioni utopistiche vi è però anche qualcosa di più realizzabile; ad esempio nelle idee di Czech, pregne di socialità (autocostruzione delle case). La sua architettura non può rinunciare al carattere artigianale; la casa è un "luogo di liberazione" e nei suoi lavori si notano qualità costruttiva e tecnica. Sulla scia della socialità abbiamo anche D'Amato e Cellini che riprendono il lavoro di Bruno Taut (importante figura di inizio secolo).

L'idea generale è che l'architetto deve assemblare nell'opera una matrice puramente artigianale agli ordini classici.

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Stadtpark footbridge, Vienna, 1985-87, H. Czech [immagine di pubblico dominio]


I progetti che più si discostavano dalla natura utopica erano quelli di matrice inglese, a differenza di quelli italiani. Ad esempio D'Ardia, dove la qualità rappresentativa del disegno finiva per essere già di per sé un lavoro concluso. Nelle idee inglesi vi era invece un forte legame fra giardino e casa sempre in un'ottica di lavoro artigianale (falegname, giardiniere, muratore, progettista...). Se nel caso italiano si può parlare di un aspetto più "asettico", in quello inglese è l'aspetto qualitativo della costruzione che emerge.

Altra figura importante del Postmodernismo è stata quella dello statunitense Michael Graves. Egli sfruttava la sua grande capacità rappresentativa creando opere dove gli elementi classici venivano tenuti assieme in maniera giocosa; alla stessa maniera in cui venivano composti e scomposti i materiali. Le creazioni evocavano spesso e volentieri atmosfere da favola e da "paese dei balocchi" (un po' come il Teatro del Mondo di Aldo Rossi del quale si è parlato nella parte precedente).

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Disney Studios, Burbank, California, 1991, M. Graves [immagine di pubblico dominio]


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Disney Studios, Burbank, California, 1991, M. Graves [immagine di pubblico dominio]


Altra novità importante fu l'aspetto internazionale e mondiale (forse inedito nei termini in cui se ne sta parlando); si assiste a un fitto scambio, come già accennato in precedenza, fra America e Europa ma è anche l'estremo Oriente a partecipare in maniera attiva, con la presenza, fra tutti, di Isozaki. Nella rassegna vennero rappresentati aspetti delle vecchie capitali europee, delle città americane e di un Giappone definibile neo-occidentale. Un razionalismo (quello di Isozaki) fatto di una interessante commistione fra elementi tradizionali occidentali e orientali. Egli diventerà poi una figura di spicco che, come tanti, ha attraversato tutte le correnti della seconda metà del Novecento (razionalismo, postmoderno e decostruttivismo).

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PalaOlimpico, Torino, 2003-05, A. Isozaki [immagine di pubblico dominio]


Impossibile inoltre non citare la figura dell'architetto americano Charles Moore, che alla ricerca di un equilibrio fra passato e presente introduceva particolari richiami alla cultura pop degli anni '70. In questo senso cito la Piazza d'Italia a New Orleans, fortemente rappresentativa di questo approccio eclettico e giocoso. Una tessitura reinterpretativa della cultura e della società italiana "delocalizzata" (?). Interessante tentativo, passionale e innamorato per certi versi vista l'ideazione e l'esecuzione.

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Piazza d'Italia, New Orleans, 1978, C. Moore [immagine di pubblico dominio]


L'occhio degli architetti postmoderni era anche attratto dalle città abbandonate o in decadenza, dai resti e le falle lasciate e non ancora risolte, magari per gli eventi bellici della prima metà del secolo. Si cercava di dare a questi spazi nuova vita; si analizzavano gli aspetti della città, piacevoli o meno, con lo scopo di immaginare modelli e prospettive di crescita adeguati alla storia, alla natura e al "destino" della città stessa. In questo ambito si cita Nicolin che propose alcuni progetti a Palermo, atti a sanare i buchi della città postbellica.

Si parlava anche di restauro quindi. In quegli anni era aperto un dibattito sugli obbiettivi del restauro; se le integrazioni dovessero essere riconoscibili (imitando l'originale), oppure esplicitamente posteriori, elementi che sì, cercavano un qualche amalgama, ma che tendevano a discostarsi molto dall'originale. Uno dei personaggi più attivi in questo dibattito fu Quinlan Terry, architetto britannico essenzialmente passatista, che realizzò copie esatte di situazioni più che altro palladiane (XVIII secolo).

Altra figura in linea fu quella di Stanley Tigerman, sempre in contesto angloamericano ripropose in piccole città americane la reintroduzione di aspetti classici originari, portando alle estreme conseguenze questo approccio e giungendo a una sorta di minimalismo in contrasto con quello razionalistico (non si parlava di reinterpretazione del classico ma di semplificazione).

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Illinois Holocaust Museum, Skokie, 2009, S. Tigerman [immagine di pubblico dominio]


Altri aspetti caratterizzanti l'idea postmoderna erano i "salti di scala" (il piccolo che diventa grande e viceversa). Sempre nel contesto giocoso alla ricerca di un corto circuito nella rappresentazione mitica di un passato non così edificante. Il negativo dello stesso per intenderci.

Il Postmoderno come corrente dominante si conclude alle soglie del 2000, sostituito e mandato in pensione dal Decostruttivismo. Tuttavia perdura ancora oggi in certi casi, nelle produzioni talvolta molto interessanti di alcuni studi di progettazione.

Spero questa carrellata sul Postmoderno sia stata di qualche utilità per chi ha letto o leggerà. Vi lascio con alcune immagini di alcune realizzazioni dello studio olandese MVRDV (ve lo confesso, uno dei miei preferiti).

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Edificio Celosia, Madrid, 2009, MVRDV [immagine di pubblico dominio]


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Parkrand, Amsterdam, 2006, MVRDV [immagine di pubblico dominio]


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Didden Village, Rotterdam, 2002-2006, MVRDV [immagine di pubblico dominio]


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Silodam, Amsterdam, 1995-2003, MVRDV [immagine di pubblico dominio]


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Wozoco housing, Amsterdam, 1997, MVRDV [immagine di pubblico dominio]



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Bibliografia
  • Appunti e lezioni universitarie di Storia dell'Arte;
  • C. Jencks, The Presence of the Past, Domus n° 610, ottobre 1980;
  • L.C. Szacka, Exhibiting the Postmodern: The 1980 Venice Architecture Biennale, 2016;
  • P. Portoghesi, Postmodern: l'architettura nella società post-industriale, 1982;
  • R. Stern, Classicismo moderno, 1988;
  • R. Venturi, Complexity and Contradiction in Architecture, 1966.


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