Lavorare per vivere o vivere per lavorare?

in #life5 years ago

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Un saluto a tutti,

oggi vorrei allontanarmi, anche se solo momentaneamente, dai miei articoli dedicati al mondo delle criptovalute e della blockchain per dedicarmi a una riflessione che è sorta quasi spontaneamente dopo due avvenimenti accaduti uno a pochi giorni di distanza dall'altro ma che non hanno nessuna correlazione diretta tra di loro se non il fatto di riguardare il mondo del lavoro.

Il titolo dell'articolo dice tutto, quindi è abbastanza chiaro l'argomento di cui vorrei parlare oggi. E' un tema che non smette mai di essere di moda, dibattuto in tutte le tribune politiche, nei bar e che in tutte le famiglie ricopre un ruolo di rilievo.
Perchè diciamocelo apertamente, il quello del lavoro è un argomento che ci accompagna dalla tarda adolescenza fino alla nostra vecchiaia, con il miraggio della sospirata pensione che si allontana sempre di più.

Vi chiedo quindi, è giusto lavorare per vivere oppure siamo segnati da un'esistenza in cui dobbiamo vivere per lavorare?

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Nell'introduzione di questo articolo vi parlavo di due avvenimenti che si sono susseguiti a distanza di pochi giorni che mi hanno molto fatto riflettere sulla domanda del titolo.
Prima però di spiegarvi cosa è successo, credo sia doveroso fare un passo indietro e rendervi partecipi di un paio di cose, in modo da farvi capire il perchè della riflessione che gli avvenimenti mi hanno spinto a fare.

Fino a 9 anni fa avevo un impiego ottimamente retribuito e che mi conferiva un certo lustro; stipendio annuale a metà strada tra le 5 e le 6 cifre, auto aziendale di un certo prestigio e una fitta rete di relazioni interpersonali che riempiva le mie giornate.
Giravo l'Italia per i tre quarti di un mese, alberghi pagati, cene pagate.. insomma, una vita che vista dall'esterno sembrava essere perfetta.

Il rovescio della medaglia è che le relazioni interpersonali duravano il tempo di un viaggio e che quando tornavo a casa ero sempre da solo. Se questo non bastasse, passato il primo periodo di grande entusiasmo per la posizione ricoperta, lo stress aveva cominciato a fare capolino nella mia vita ed era diventato una costante che oltre a logorare la mente aveva cominciato a farlo anche nel fisico.

Di tutto il bello che quel lavoro poteva offrirmi non restava più nulla davanti al prezzo da pagare, neanche dei grandi risparmi che nonostante il grosso stipendio non riuscivo ad accumulare.
Infatti vivere in un certo modo aveva un costo e una volta abituatisi a certi "lussi" era difficile accontentarsi, quindi a stipendio più corposo corrispondeva un tenore di vita che quello stipendio copriva adeguatamente ma senza la possibilità di mettere dei risparmi da parte.

Alla fine, dopo l'ennesimo stato di malessere, l'incontro fortuito con un medico perugino, mi fece capire che sostenere quel ritmo mi avrebbe portato ad avere conseguenze molto negative sulla mia salute e così di punto in bianco mi licenziai e decisi di cambiare completamente vita, partendo per gli States per un anno e lasciando tutto.

Avevo deciso di smettere di vivere per il lavoro e di pensare un pò a vivere per me stesso.

Questa scelta non è mai stata accettata dalla mia famiglia, perchè si sa che nella cultura risalente a una o due generazioni prima di questa, il lavoro era sacro e lo si doveva tenere a discapito di tutto.

Ecco, qui si ricollega uno dei due avvenimenti di cui vi parlavo: due giorni fa ho ricevuto la chiamata della mia ex azienda (multinazionale di una certa fama) per valutare se ero interessato a riprendere il mio vecchio lavoro con uno stipendio addirittura maggiorato e una certa serie di benefit.
Una serie di riflessioni mi avevano assalito, perchè quanto offertomi rasentava quasi il doppio di quanto guadagno adesso.. ma quale sarebbe il prezzo da pagare per questo ritorno alle origini?

Adesso ho una moglie e una splendida bimba di tre anni dalle quali non riuscirei mai a separarmi, gestisco i miei tempi perchè lavoro in proprio e non posso lamentarmi del mio tenore di vita. Tornare indietro significherebbe ricominciare a vivere per il lavoro perdendomi tutto quello che ho costruito in questi anni, ma soprattutto tornare a sostenere dei ritmi che non valgono lo stipendio pagato.

So che molti staranno pensando che non si sputa su occasioni come questa, ma io da quell'occasione sono scappato a gambe levate e non intendo tornare ad essere schiavo del lavoro.
Inutile dire che ho immediatamente detto di no, appoggiato da mia moglie che sa quanto sono andato vicino a cadere nel baratro con quel lavoro e che amandomi vuole solo vedermi felice e in salute anche con qualche soldino in meno.


Il secondo avvenimento precede questo di cui vi ho parlato di qualche giorno.

Sin dall'infanzia ho vissuto una vita in parallelo con un amico fraterno che abitava nel condominio con giardino dove sono nato e cresciuto fino ai 22 anni.
Io prendevo il massimo dei voti, lui prendeva il massimo dei voti. Io mi diplomavo con 60/60 idem lui. Io mi laureavo in economia e commercio con 110/110 e lode e lui lo faceva con il plauso accademico.

Entrambi abbiamo intrapreso carriere lavorative prestigiose, con stipendi similari e stesso tenore di vita. Ci siamo visti e frequentati sporadicamente dopo l'inizio dei rispettivi lavori perchè sempre in giro per l'Italia, ma ogni volta che ci vedevamo era come non essersi mai lasciati.
Questo fino a quando lasciai il mio lavoro.. lì ci fu un forte allontanamento, con le sue aspre critiche nei miei confronti perchè lasciavo una carriera importante per degli stupidi motivi (a suo modo di dire).

Era votato alla carriera, per lui non esisteva altro che il suo lavoro. Io mi costruivo una famiglia e lui una carriera. Era adirittura entrato nell'orbita della politica e passava da una relazione all'altra, senza importanza perchè non dovevano intralciare la sua ascesa.

Non ci siamo sentiti per 9 lunghi anni e qualche giorno fa ho saputo che un infarto se l'è portato via a 41 anni.

Devo essere sincero, appresa la notizia ci sono rimasto male e mi è dispiaciuto nonostante l'allontanamento e il modo in cui ci eravamo lasciati, ma ho subito pensato che quello avrei potuto essere io.

La strada che avevo intrapreso era proprio quella, lo stress mi stava consumando e probabilmente avrei potuto finire in quel modo.

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Dopo questi due avvenimenti appare ovvio quale sia il mio punto di vista.. la vita è una e merita di essere vissuta.

Per come la vedo io, non ci si può votare solo alla carriera o pensare solo a lavorare, anche se non a livelli alti, perchè sarebbe una vita "sprecata" per il lavoro quando quest'ultimo dovrebbe essere uno strumento per vivere e non viceversa.

Senza incorrere in finti moralistmi, so che ci sono persone costrette a lavorare intere giornate per portare lo stipendio a casa, ma credo anche che a un certo punto bisogna prendere le redini della propria vita e fare delle scelte.

Io ho fatto un salto nel buio lasciando tutto e creando da zero il mio nuovo lavoro; non nego che all'inizio non è stato facile, ma con la mente libera e tanta motivazione sono riuscito a costruire una vita che posso vivere senza rinunciare ad avere i miei spazi e a coltivare i miei interessi.

Ma soprattutto senza dover sacrificare la famiglia.

Voi cosa ne pensate? Qual è la vostra esperienza?

Un saluto, Carlo


Sort:  

Mi dispiace tanto per il tuo amico, nonostante le vostre strade abbiano imboccato vie molto diverse hai perso un pezzo della tua vita.
Non ti nascondo che per il mio vissuto personale un groppo mi ha bloccato dolorosamente la gola per tutto l'articolo, che condivido.
Poco prima di Natale è venuto a mancare prematuramente un collega che aveva dato la sua vita per gli utenti del posto in cui lavoro. Mi è capitato di riflettere sul fatto che per quasi 20 anni la moglie e la figlia lo avevano conosciuto ed avuto in casa per un quinto, forse, del tempo dedicato al lavoro, e che le persone con cui/per cui lavorava lo conoscevano quasi quanto i suoi affetti più cari.
Mi sono chiesta la stessa cosa che tu citi nel tuo titolo: Vivere o lavorare? Ed ho capito che, al di là di quella che può essere una personale propensione a fare carriera, o i retaggi di una cultura e di una società per cui un uomo è il lavoro che fa, oggi non abbiamo più la possibilità di scegliere fra vivere e lavorare, perché lavoriamo a mala pena per sopravvivere. Solo pochi fortunati, come te e come me, possiamo permetterci il lusso di scegliere di guadagnare di meno per preservare per noi stessi il nostro tempo e non svenderlo tutto ad altri. A volte mi chiedono perchè ho scelto il part-time a tutti i costi ed io rispondo "a che mi servono tutti quei soldi se poi non ho il tempo per spenderli, come capita a te?". Ma siamo eccezioni e facciamo dei sacrifici anche noi.
Gli altri, tanti altri, non possono scegliere affatto, e devono lavorare moltissimo per una miseria, riuscendo appena a sopravvivere. Negli ultimi trent'anni sono entrati a far parte di questa triste categoria non solo persone dalle scarse risorse mentali, in grado solo di fare lavori pesanti ed umili perché dotati di scarso intelletto ed istruzione, come avveniva per lo più fino a 50/60 anni fa, ma anche gente colta, laureati (anche se laurea è ben lontana dall'essere sinonimo di intelligenza), persone di ogni ceto e classe. Il lavoro è stato deprezzato, l'essere umano stesso ha perso di valore, e quindi i beni che produce. Al contrario i beni prodotti sono diventati tutti indispensabili e molto cari, quindi ad una diminuzione del potere d'acquisto da un lato si è sommato un eccesso di spesa in deficit di introiti dall'altro. Ergo, devo lavorare il triplo per ricevere la metà, quel poco che ho l'ho già speso perché la società mi impone di comprare cose inutili a carissimo prezzo ed io, uomo del nuovo millennio, che ho già corroso i risparmi delle generazioni precedenti, sono sempre più povero e sempre più indebitato. Ma tanto nemmeno me ne accorgo, perché non ho più il tempo per fermarmi a riflettere: pensare è il vero lusso. Creare legami veri e poterli coltivare, un altro lusso. E il futuro? Non esiste proprio: Non posso certo provvedere al domani dei miei figli e nipoti se a mala pena riesco ad arrivare vivo alla fine di oggi. Figurarsi speculare sul bene dell'umanità, la guerra, la gente che soffre nel mondo, la gestione della cosa pubblica, la bellezza dell'arte e della cultura, il libero pensiero: primum vivere, deinde filosofare! diventa il triste motto di questa frenetica società di criceti in gabbia.
Ci hanno diseducato a dare un valore al tempo ed alla vita, che gettiamo via in nome di cose che, come accadeva a te nella tua vita precedente, ci vengono date copiose solo per potercene togliere altrettante. Ma al netto di tutto, quello che ci resta è meno di niente, svuotati infine della nostra stessa essenza.
Ti suggerisco Momo di M. Ende, se non lo hai già letto.
E ti chiedo scusa per questo sfogo di pensieri alla rinfusa, frutto in parte di lunghi monologhi durante l'ora di macchina che faccio per andare a lavoro, e che giusto stamattina si erano ingrippati sul valore del nostro lavoro seguendo un lungo flusso di pensieri partiti dalla protesta sul latte dei pastori sardi degli ultimi giorni.

Tu mi chiedi scusa? Spero tu stia scherzando! Io ti ringrazio perchè questo non è un commento ma una condivisione di un valore immenso, frutto di un vissuto che per quanto possa essere diverso dal mio (penso, ipotizzo) ti ha portato alle mie stesse conclusioni.
Siamo bombardati di messaggi che hanno l'unico scopo di distoglierci dal fermarci e riflettere, perchè se lo facessimo ci renderemmo conto che ci circondiamo di cose inutili piuttosto che vivere.
Ho una bimba di tre anni e sto mettendo tutto me stesso, in perfetta sintonia con mia moglie, per educarla in un certo modo anche se già il confronto con i suoi coetanei della scuola dell'Infanzia fa vacillare molti di questi insegnamenti.
Sono onorato che tu abbia convogliato questo flusso di idee in un commento, perchè avresti tranquillamente potuto scriverci un post tutto tuo. E devo essere sincero, per quel poco che ti conosco, ti stimo.

Ti ringrazio infinitamente per le tue parole, in realtà, ti assicuro, sono io che ti stimo tantissimo.
Siamo tanti a giungere alle stesse conclusioni da percorsi totalmente diversi, ma ancora troppo pochi e con difficoltà. Quello che ci accomuna, oltre alla solitudine in cui siamo dispersi ed alle critiche da parte di chi ci circonda, è l'adattamento creativo ed alternativo ai dettami di questa società malata. Sarebbe bello, un giorno, unirsi per cambiare le cose e ridare una speranza ad un mondo di spenti uomini grigi (per citare Momo, di cui ti parlavo). Sarebbe davvero bello trovare ed "imporre" un'alternativa al modello attuale, che ridia umanità a questa vita che mi permetto di paragonare ad un campo di concentramento per le menti, private ormai di ogni dignità. Ditemi se questo è un uomo.

Mi citi Primo Levi, che ammetto che calza a pennello con il tuo ragionamento.. e ti rispondo con Cervantes; è come Combattere contro i mulini a vento

Penso che arrivare alle nostre conclusioni sia frutto di una maturazione e di un processo al quale bisogna arrivare necessariamente con l'autoconsapevolezza; inutile cercare di imporre agli altri questi concetti, soprattutto se con la mente obnubilata da modelli creati in anni e anni di inoculazione dei pensieri.

Premetto che sono fermamente e presuntuosamente convinta che non tutti (anzi, una molto ristretta minoranza) posseggono -o addirittura desiderano- i mezzi necessari al discernimento ed all'autoconsapevolezza. I più hanno bisogno di panis et circensis, ovvero pancia piena ed un po' di svago, e sono pronti a seguire acriticamente e morire per chiunque offra loro questo minimo. Oggi li chiamano analfabeti funzionali; con loro l'educazione, purtroppo, non è sufficiente, è acqua che scivola via sull'olio. La cosa positiva è che esiste una zona grigia intermedia, capace, avendo il minimo, di tornare nuovamente ad essere permeabile alla bellezza dell'arte e della cultura, di rimettere in moto la materia grigia sopita dagli stenti e di nutrire quella parte di noi il cui nome stesso è ormai quasi tabù: lo spirito.
Hai ragione, imporre sembra inutile, ma tutto dipende da come impongo qualcosa. Ci hanno imposto tante cose in tanti modi, in tv, a scuola, a casa, su giornali e riviste. Persino scegliere di martellarci per anni con Manzoni piuttosto che con Verga, Tomasi di Lampedusa o de Roberto è a mio avviso una scelta strategica con conseguenze ideologiche e sociali ben precise.
Qualunque idea, per quanto sembri che possa farsi strada da sola, in realtà c'è sempre qualcuno che l'ha fatta trapelare da qualche parte nel tuo inconscio (hai presente Inception?). Ecco il tipo di imposizione che funziona, quella che agisce nel lungo periodo e che nasce da dentro. Qualcuno aderirà, qualcun altro no. Ma in qualche modo l'idea di un modello alternativo inizierà a diffondersi, magari ad essere adottato da sempre più persone. Chissà, forse noi stessi siamo stati raggiunti da un'alternativa e l'abbiamo adottata. La vera sfida sarà diffonderla, ma il modo per farlo, sono certa, comparirà al momento giusto e se avremo il coraggio di cogliere l'opportunità potremo (iniziare a) cambiare le cose.
Ti ringrazio per questo dialogo, credo che "fare un post mio" sarebbe stato molto più sterile che avere uno scambio di idee tanto intenso con te.

Ciao ragazzi, ho letto questo post di Carlo soltanto adesso e scatto a commentare perché, anche questa volta, mi sento a mio agio in questo tipo di discorso e pure perché, ancora una volta, sono estremamente d'accordo con la tua scelta.

Come forse saprete, anch'io ho deciso ormai 8 anni e mezzo fa di dare un deciso colpo di spugna alla mia vecchia vita; "ho mollato tutto" e mi sono trasferito a Panama, dove mi sono costruito vita,casa e professione da zero.
Certo io non avevo una posizione professionale importante a livello di retribuzione economica, ma il fatto che fossi un operaio di Fincantieri, e quindi di un'azienda parastatale, scioccò tutti coloro che appresero della mia decisione.

"Ma come te ne vai a Panama? Ma perché? Dove trovi il coraggio di lasciare il tuo lavoro?", erano le domande di rito intorno alla primavera del 2010.

Non si vive per lavorare ma si lavora per vivere, è sempre stato uno dei miei motti.

Trovavo assurdo passare 9 ore della mia vita in un posto (piuttosto triste) per guadagnare un sussidio (per chiamarlo stipendio ci voleva del coraggio, visto il costo della vita nel nord Italia) senza nessuna pretesa.
Quello che mi distruggeva l'anima più di tutto, era però "essere costretto" a fare una cosa di cui non mi fregava un cazzo, per dirlo in francese corretto e corrente, in un paese dove la meritocrazia è una parola che se continua così, fra un po' sarà assente perfino dal dizionario.

Io non credo che la vita sia soltanto una (credo fermamente nella reincarnazione), ma credo che ogni vita che veniamo a impersonare su questo (o altri) pianeti sia cosa troppo importante per spenderla nella rassegnazione e nel fatalismo.
Io assolutamente non concepisco coloro che rinunciano a seguire la propria via in nome di uno stipendio (perlopiù del cazzo).

Hai fatto bene caro Carlo, altroché...

Belìn, ti voglio bene! ^_^

Anch'io mi voglio bene! 😂😉❤

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Grande! Hai avuto coraggio e ammetto di averci provato anche io a lasciare l'Italia.. ma se è vero che potevo rinunciare a un lauto stipendio, non potevo certamente rinunciare alle mie origini.
Quindi con molta ostinazione ho cercato una strada che mi lasciasse la libertà di gestire me stesso e il mio tempo e il necessario per vivere "bene", ma hai tutto il mio rispetto per la tua (la vostra) scelta.
Immagino non sia stato facile ma quello che hai adesso non ha prezzo e devi essere solo fiero di aver compiuto un passo che il 99% delle persone non farebbe mai, ma solo per paura.

Grande articolo, Carlo!

Io sono un simpatizzante di Silvano Agosti, il cui pensiero è ben sintetizzato in questo suo breve discorso:

https://www.youtube.com/watch?v=5YANjIKfNEo

Anch'io ho compreso la limitatezza del tempo a nostra disposizione e ho imparato a dare meno importanza ai "nostri" ruoli sociali per dedicare maggior tempo alla ricerca del proprio sé... non so se mi basterà questa vita per raggiungere l'obiettivo, ma sicuramente un po' di ignoranza me la sto scrollando di dosso.

Un caro abbraccio da @amico! 🤗

Ero sicuro di leggere un tuo commento a questo post :p
Da quello che ho capito di te, tu sei a un livello successivo (passami il termine) molto più spirituale e quindi più propenso e abituato a dare un diverso valore alle cose (che forse è quello giusto).
E' un percorso che ho provato più volte a fare anche io, ma mi riservo di approfondirlo quando avrò la mente più libera .. magari fra qualche anno.

Mi spiace per la tua perdita, è proprio vero che abbiamo una visione parallela io e te, mi ritrovo nella situazione in cui ti trovavi tu 10 anni fa al momento, mi ritrovo spesso ad analizzare la mia situazione lavorativa e mi rendo conto che sto impiegando troppo tempo a realizzare gli obiettivi di terzi. Anche se personalmente ho un tenore di vita con zero pretese, la verità è che il tempo è una risorsa limitata, le giornate non tornano indietro.
Sto pianificando con grande sacrificio e dedizione il modo per trasformare le mie passioni in lavoro in modo tale da impiegare con soddisfazione ogni minuto possibile a mia disposizione, è dura e non è facile ma sono estremamente fiducioso.

Fai della tua passione un lavoro e non lavorerai un solo giorno in vita tua.

Grazie Fede.. io penso che hai un età in cui puoi ancora concederti il lusso di rischiare e in cui il rischio assunto può concederti dei benefici che potrai apprezzare per tutta la vita a seguire.
Spesso mi guardo indietro e penso al momento in cui feci quella scelta, benedicendola ogni giorno.. perchè poi ne sono seguite tante soddisfazioni personali nonchè la costruzione della mia famiglia.
Non posso dirti cosa fare, ma solo augurarti un grosso in bocca al lupo perchè sei di sicuro una persona che merita di riuscire a conseguire i propri traguardi! ;-)

La frase che hai citato... è il mio motto :D

Grazie mille Carlo, speriamo! Io c’è l’ho scritta su un post-it attaccato al monitor del portatile che uso per i montaggi, così...giusto per ricordarmelo spesso :D

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