A volte basta una maschera per non nascondersi

Per la prima volta nella mia non brevissima vita avevo accettato di partecipare ad una di quelle stupide feste di carnevale.

Ogni anno qualcuno mi invitava a casa di un amico di un amico o in un locale scelto per celebrare l'occasione.

Non mi avevano mai appassionato questo tipo di iniziative. Non avevo mai avvertito il bisogno di travestirmi in qualche modo per essere qualcun altro per una sera.

Sarà che mi sento sempre qualcun altro. Ogni giorno.

Indossare una maschera sarebbe come indossare 2 pantaloni allo stesso tempo, uno sopra l'altro.

Ma quella sera decisi di andarci, un pò per gioco, un po per curiosità.

Decisi di travestirmi da Jon Snow e di impegnarmi a rispondere ad ogni domanda con le classiche frasi alla Jon Snow tipo "Io non lo voglio, non l'ho mai voluto" o "Lei è la mia regina" e via discorrendo. Ne avevo preparate una decina per l'occasione.

Ricordo ancora che, con mia somma meraviglia, l'ingresso in casa fu accompagnato da una distinta nota di gioia nei miei occhi. Mi sarei immaginato balli, canti, gente piena di se strombazzare in giro le peggio cafonate e invece mi ritrovai in un ambiente, si colorato ma pieno di gente che pareva essere autentica ai miei occhi.

Una vita sempre più disumanizzante quella che viviamo eppure in una festa di Carnevale mi sono sentito subito immerso tra la gente come se quelle maschere anzichè essere un ulteriore filtro tra noi stessi e gli altri riuscissero ad creare una connessione autentica fra quella rete di persone per lo più sconosciute.

Non so dirvi come e perchè ma questo fu quello che accadde.

Mantenni la mia promessa e iniziai a rispondere a caso, con frasi tratte dalle "quotes" di Jon Snow, a chiunque si presentasse a me, belle ragazze vestite da Wonder Woman o da Gamora, NERD incalliti impersonaficanti idoli di Star Trek o Doctor Who, Harry Potter o Il Signore degli Anelli, Gomorra o Star Wars.

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Il bello era che il gioco spesso spiazzava ma creare simpatia, connessione fra noi tutti.

Alcuni riuscivano a cogliere l'ironia e il grottesco dietro il mio comportamento, altri semplicemente si limitavano a sorridere e alcuni mi prendevan per matto.

Ma non fu molto importante quelli che gli altri colsero di me quella sera, quanto quello che io riusciì a capire su me stesso.

Quella maschera, quelle battute, il mio atteggiamento diceva molto di me, molto più di quello che avrei potuto raccontare a parole.

L'ironia, il sentirsi a proprio agio lontani dal mondo reale, la scelta del costume, i sorrisi genuini raccontavano qualcosa di me che non riuscivo a raccontare quotidianamente in giacca e cravatta in ufficio con colleghi finti amici, in palestra con la tuta di ordinanza con uomini e donne disperatamente alla ricerca di apparire più che essere, a casa nelle poche ore di tregua dove giocoforza subentravano routine e preoccupazioni per quello ci sarebbe stato da programmare per giorni, settimane e anni a venire.

In quella serata invece, vestito ridicolmente come un lord di Grande inverno, proferendo parole senza senso, tutto sembrava avere più logica, più autenticità.

Chiamiamola libertà, chiamiamola serenità, fate voi.

Uno smarrimento esistenziale continuo che pareva essersi sedato almeno per una sera.

E cosi realizzai che a volte serve una maschera per ritrovarsi dopo essersi persi per una vita intera.