Lenzuola di seta rossa

Borchie su pelle nera. Poca. Stivali alti a coprire calze autoreggenti a rete. Un collarino da Pitbull anch'esso borchiato e quella faccia. Non la dimenticherò mai quella faccia. Una voglia aggressiva da pantera pronta al balzo, si stagliava su di me sdraiato nudo su un letto di lenzuola di seta rossa. Un mare sanguinante di voglie ansimanti. Il tacco che premeva sul petto e le mie mani protese verso gambe di una infinita lunghezza.

_{Image CC0 Creative Commons – Pixabay}

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Avevo preso il TGV che da Nantes mi avrebbe portato a Parigi in perfetto orario. Prima classe di comoda pelle nera, la stessa che mi aveva fatto sprofondare nel ricordo di due notti prima. Michelle aveva superato ogni fantasia. Io e la mia vita regolare e precisa. Un orologio svizzero che non perdeva colpi. Lei distratta e timida nel mondo, pantera predatrice chiusa agli sguardi del suo appartamento. Muoveva le viscere, sbatteva nella testa e nel basso ventre come un'onda di mare in burrasca sugli scogli. Ma ormai era andata, come vento aveva soffiato per una notte e poi si era diretta verso altri lidi, verso la sua consueta timidezza secolare.
Aprii la borsa ed estrassi il portatile. Qualche ora di viaggio mi avrebbero consentito di lavorare al progetto che stavo curando e che era prossimo alla scadenza. Ero fiducioso ma stanco. Le responsabilità pesano a certi livelli, ma ero consapevole e questo era uno stimolo enorme.
Ormai assorto nelle note e nei disegni, non mi ero accorto della sua presenza. Si rivelò come un tuono a cielo sereno e tutti a girarsi per vedere da dove la perturbazione arriva. Mi era caduta una chiavetta USB. Dio che invenzione! Mi abbassai per raccoglierla allungando una mano. Fu allora che mi accorsi che la tempesta era invisibile e già sulla mia testa. Mano su mano, occhi negli occhi. La ritrassi istintivamente. Le tirò su la chiavetta. Me la porse con lo sguardo malizioso che solo certe donne sicure sanno di avere. Lei lo era. Lo immaginavo, poi fui sicuro.

Cécile , disse languida.
Rimasi imbambolato a fissarle le labbra.

Ho qualcosa che non va?

Nulla avrei voluto rispondere ma tacqui, come il miglior pesce rosso in una palla di vetro. Boccheggiai in cerca d'ossigeno, di vita.

Il pallore che mi si contraddiceva si tinse di un rosso pompeiano. Si passò una mano sul viso a scostare una ciocca di capelli. Neri e lucenti, naturale contrasto a degli occhi azzurri come il cielo d'estate.
La malizia albergava in quegli occhi, attratti dal mio pudore adolescenziale.

Un battito d'ali che fugge via, la mano di nuovo sulla mia, senza casualità, volutamente. Questa volta non distolsi lo sguardo. Anzi.

Un mare sanguinante di voglie ansimanti. Il tacco che premeva sul petto e le mie mani protese verso gambe di una infinita lunghezza.

La strinsi ed anche lei lo fece. Fu naturale. In un attimo ci alzammo all'unisono. La camicetta bianca di seta e quel bottone che aveva ceduto alla pressione di un seno turgido ed esplosivo, una esuberanza vitale. Cécile si mostrò nella sua immagine votiva della vita. Un bouquet di proporzioni misericordiose.
Muovemmo il passo verso la fine della carrozza. Senza parlare, senza distogliere lo sguardo. Lei mare, io terra.

Lenzuola di seta rossa. Questa è la mia vita.

Schiuse le labbra nell'attimo in cui penetrai le sue voglie e le lingue danzarono la Taranta più frenetica.
Senza pudore o forse semplicemente inconsciamente, aprimmo la porta della toilette facendola richiudere con forza dopo il nostro passaggio. Si avvicinò felina, gatta non pantera, mordendomi le labbra come affamata. Le mie mani ansiose sulla vita, risalirono la seta della camicetta fino a stringere la morsa sul seno. Pulsioni di capezzoli e lingue, mani tramanti di scoperta, sul mio petto e sul suo, asole che sfilavano bottoni inermi. Pelle su pelle e gambe tra le gambe. Uniti tra i sibilii della carrozza che sfrecciava. Si ritrasse per un'istante, occhi negli occhi, malizia di mare in tempesta. Sapiente e decisa, pantaloni al suolo, bocca di labbra umide. Umida vita. La bocca che fu bacio a stringere la voglia esplosa tra le mie gambe. Mai fui stato più vivo, mai fui stato più consapevole di essere vivo. Portai le mani sulla sua testa corvina stringendo a me quel bacio della passione. Sentivo il fuoco che ardeva forte sotto quelle bordate di labbra e lingua. La alzai di colpo e fummo di nuovo occhi negli occhi, lei mare io terra. Fu solo un secondo, il tempo di guardare le labbra semidischiuse. La voltai con una delicatezza decisa. Sollevai la gonna nera che scoprì un fondoschiena di pizzo nero. Eravamo su quel treno, eravamo noi il treno, senza freni, ne fermate. Scostai il pizzo umido di lago alpino e, abbassandomi, presi a bere direttamente alla sua fonte. Sentivo i tremori e i gemiti crescere nel suo ventre, spasmi incontrollabili e imperituri. Le mie dita nel suo piacere, esploratici delle sue voglie sempre più tremanti. Poi mi sollevai e penetrai l'istinto. Carne su carne, carne dentro carne. Colpi decisi e lingue che si cercavano. Ruotò la testa in un contorsionismo impavido. Carne su carne, carne dentro carne, bocca su bocca, lingua contro lingua.
Giungemmo al capolinea dell'amplesso nello stesso momento, uniti i corpi perlati di sudori e brividi.
Un bacio, un rivestirsi lento, un bacio ancora. Cécile.

Lenzuola di seta rossa. Eravamo noi.