Roberta, ascoltami. Quinta puntata

in #ita6 years ago

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Roberta, per contro, non aveva mai neppure provato a fumare, da ragazzina per differenziarsi dalla madre, poi, da quando era andata a lavorare nello studio dentistico, aveva imparato da Gianluigi quanto fosse pericoloso il fumo e, inoltre, forse soprattutto, quanto lui detestasse le donne con la sigaretta, che puzzavano, invecchiavano presto e perdevano il loro fascino.
A questo proposito raccontava una barzelletta, una delle sue, sempre intrise di maschilismo: “Una ragazza moderna, con la minigonna, truccatissima, va a fare un esame all’università. Ha la voce roca per quanto fuma. L’esame verte sulla letteratura latina e lei non è molto preparata. Il professore la boccia e lei, stizzita, si alza e accende una sigaretta. Sta per andarsene, quando il cattedratico la chiama : “Signorina, aspetti un momento!”. Lei si gira, sorpresa.
“Sa cosa disse Enea mentre si allontanava da Troia che bruciava?”
“ Mhh , no …” “Bene. Disse : addio, troia fumante!” E congeda con un gesto la studentessa. “
A questo punto, ogni volta che ripeteva la barzelletta, Gianluigi rideva, divertito di quanto era spiritoso. E anche Roberta rideva, ammirata per la sagacia del suo innamorato.

Lei voleva profumare di rosa, non di nicotina.

Sua madre, invece, aveva ormai assunto un colorito grigiastro, la mano aveva tonalità di giallino sulle prime tre dita, che, praticamente, reggevano sempre una sigaretta salvo le poche ore di sonno. Sì, perché Lia dormiva davvero poco.
La sua precoce vedovanza l’aveva privata di gioia e di quel minimo di spensieratezza necessarie per abbandonarsi a un sonno ristoratore.
Poi il lavoro in ospedale aveva sfalsato i suoi bioritmi. I turni di notte consentivano un modesto recupero, specialmente se di giorno doveva accudire la figlia, sistemare casa e provvedere a tutte le necessità della piccola famiglia.

Nel novembre del 1979, Roberta compì trent’anni e sua madre cinquantacinque.
Erano nate rispettivamente il 5 e l’8 novembre e per molti anni avevano festeggiato insieme. Ma ormai, da quando la vicenda amorosa della ragazza aveva prevalso su tutto, non festeggiavano più, si scambiavano solo un frettoloso augurio.
La mattina dell’8 novembre, mentre bevevano il caffèin cucina, senza parlare, Roberta si sentì in dovere di dire: “Auguri, mamma”. L’altra la guardò con un mezzo sorriso e accese la sigaretta. “Di auguri ne hai bisogno tu, tesoro. Darei la vita, perché capissi…”.
“Ma basta!” scattò Roberta. “Via, basta, vado al lavoro e non torno per cena”.

Il mese di novembre proseguì sempre più cupo e, quell’anno, anche particolarmente freddo e piovoso.
Si avvicinava Natale, pensava Roberta. Un giorno sempre così triste. Lei lì sola con sua madre, mute e arrabbiate. Gianluigi con la sua inutile famiglia.
Nel petto le crepitava una rabbia forte, mista a dolore, ma non vedeva via d’uscita.

Tutto sembrava inerte, immutabile, grigio.

(continua)

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