Io...Gerolamo (by @kork75)

“Tra pochi giorni saranno settantacinque anni: troppi per un uomo della mia epoca.”
“La sento vicina la morte, ma non ne ho paura. C’è chi se ne è andato prima di me, per pestilenza, guerra o tortura, io sono ancora qua in questo triste sudario... per compiere la mia opera. Prima di lasciare questo mondo devo finire la stesura del mio manoscritto: sarà un’autobiografia, la degna conclusione della mia parabola, scientifica e letteraria. Penso a una cinquantina di capitoli che parleranno di me e delle mie paure. Paure? Secondo voi, uno come me può aver paura? Magari di morire? Non folleggiamo. Forse, ho timore solo della malattia, che oggi il buon Dio ha mandato a fustigare questo mio vecchio corpo. Per il resto mai avuto paura, né delle loro calunnie e né delle loro accuse di cui fui vittima sacrificale. La morte, non mi fa paura, semplicemente la odio o la ignoro!”
“Vivo da esule a Roma da parecchio tempo, ma la mia città e la mia patria è Milano. Ho nostalgia delle sue vie, delle sue piazze e delle sue chiese. Nel mio testamento l’ho scritto a chiare lettere: desidero che la mia salma sia trasportata a Milano e lì avere degna sepoltura. Di quella città porto nel cuore tutto, compreso le case in cui ho vissuto.”

“Come li ho passati questi anni? Male, ho vissuto di stenti, pur sempre mantenendo dignità e orgoglio.”
“Dicono che sono un genio, mi definisco: medico, matematico e astrologo.”
“La mia fama mi ha permesso di avere una misera pensione. I medici romani mi hanno accolto volentieri tra le loro file, questo era il minimo che potessero fare per un dotto della mia levatura.”
“Sto scrivendo, l’opera della mia vita, per lei mi sono liberato di tutti gli altri testi e volumi: la mia libreria ora è vuota. Nella mia testa c’è posto solo per il mio manoscritto. Perché un libro che parla di me? Perché noi uomini siamo così: chiacchieroni, avari, bugiardi, ambiziosi e malvagi, e basterebbe solo questo per scrivere epici drammi. Sono disfattista? Certo che lo sono, vivo a Roma in un ' immensa tragedia, sembra di essere tornati all’epoca dei barbari… Questo basta per essere disfattista, non trovate?!”

“Una cosa la so: la data della mia fine, l’ho vista negli astri. Leggerete anche quella nella mia autobiografia, ma non solo. Come ho già detto mi definiscono uomo di scienza, ma dentro le mie pagine scoprirete una parte di me che ho tenuto volutamente nascosta. Sento uno sfrenato bisogno di raccontarmi per quello che sono realmente, cioè: maniaco, morboso e vendicativo.”
“Le disgrazie di questa vita le ho provate tutte, un’eterna disavventura la mia, sin dalla culla, e da quella peste che mi ha colto ancora lattante. Mi compiaccio solamente che dalla mia veneranda età ho potuto vedere che tutti quelli che mi hanno offeso, deriso, perseguitato e rinnegato, sono stati puniti dalla provvidenza divina, che interviene in mio soccorso come severa giustiziera del mio volere o del mio dolore.”
“Di questa vita ho provato tutte le gioie e i piaceri. Sono stato marito, padre e amante. Ho pianto per la condanna a morte di mio figlio: assassino, ma pur sempre sangue del mio sangue. L’avvelenamento della moglie andava pianificato meglio ragazzo mio, e ora quella mannaia sulla tua testa la rivedo nei miei peggiori incubi.”

“Sento la voglia di alzarmi da questo letto, e uscire ancora una volta per andare a cavalcare, nuotare, pescare o meglio… Tirar di spada o sparare d’archibugio. I miei pensieri giovanili vanno ai tempi di quando ero professore, quando vagavo con la mia cetra per le vie della città a comporre versi latini o sulle mura a cercar amori campestri o a leggere interminabili volumi sino al crepuscolo. Non proprio una vita di contemplazione, la mia gioventù…”
“Quanto mi manca il gioco dei dadi e degli scacchi, la mia passione, io baro e maestro di tali diletti.”
“Poi mi chiedo ogni sera prima di coricarmi, come potevate voi, inadeguati, giudicare me: studioso, medico e fine matematico. Ho risolto io le vostre equazioni, e sempre io ingegnere del moto libero e di quello rotatorio sono stato il giusto fabbro della serratura delle vostre menti ottuse.”
“Mi ricordo di come ridevi di me, quando con uno smeraldo in bocca guarii dall’insonnia. Stolto ridi ora, che il tuo uomo delle trovate e riconosciuto illustre scienziato.”
“La mia prigionia, è un’onta che ho vissuto sempre a testa alta. Di oroscopi ne ho tratti a migliaia, perché non avrei dovuto cercar risposte dagli astri anche per Lui? In quei due mesi di purgatorio inflitti dall’inquisizione, ho pensato molto, e sono convinto di essere nel giusto… Il tempo me ne darà ragione.”
“Da questo mio giaciglio al mattino vedo le rondini. Sotto molti aspetti la rondine è come me: innocua, non evita la compagnia, viaggia per paesi lontani e poi ritorna al suo nido; né solitaria né addomesticabile, però ci allieta con il suo bel canto e come me è da sempre sofferente alla prigionia.”