Ritorno a Kasiha (Capitolo Settimo) by @kork75

in #ita5 years ago (edited)

Ritorno a Kasiha

Capitolo Settimo

Il martello

“A dieci anni mi chiamavano Hunter. Giocavo a footy”

Quel soprannome Jo se lo guadagnò sul polveroso campetto dietro la chiesa anglicana del quartiere Stuart Park. In realtà, il terreno di gioco delimitato da un bellissimo steccato ovale dipinto di bianco era stato costruito per il cricket e non aveva proprio le dimensioni di un campo da calcio australiano, ma i giovani di Stuart Park decisero da subito che quella sarebbe diventata l’arena del footy e la casa degli Young Buffaloes.

“In quella bolgia del sabato pomeriggio, dove quaranta assatanati inseguivano una palla da spedire tra i pali, ero uno dei più rissosi. La mia eccessiva aggressività probabilmente era in parte colpa di mio padre”, proseguì Jo.

“ In che senso John?”, domandò curioso il dottor Harris.

“Quando mio padre mi puniva o me le suonava, io mi sfogavo tirando calci e pugni nell'arena dei bufali, come la chiamavamo noi. Intendiamoci, spesso me le meritavo le sue cinghiate, ero una vera peste, lo ammetto. Per me poi, colpire la palla o un avversario non faceva alcuna differenza, tutto era lecito in quell'ovale. Che partite! Che risse epiche! Ci persi i miei denti da latte”, disse Jo alzando la voce quasi esaltandosi, mentre non faceva nulla per nascondere un certo sorriso sulle labbra.


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Immagine CC0 creative commons

Peter, il padre di Jo, era giunto in Australia sbarcando da un bastimento proveniente dall'Inghilterra, alla fine dell’ottocento, spinto come molti immigrati dalla “febbre dell’oro”. La sua pepita più preziosa, come gli piaceva chiamarla, la trovò invece a bordo della stessa nave; durante il lunghissimo viaggio, infatti, conobbe la donna che avrebbe sposato, Matilde e perciò la sua corsa all'oro fine lì, proprio nel porto di Darwin. Peter lavorò come carpentiere e in seguito come falegname e maestro d’ascia. Con sacrifici aprì una falegnameria e poi un piccolo cantiere navale con i quali fece la sua fortuna. Nel 1902 nacque John e tre anni dopo, la piccola di casa, Jessica.

“La mia famiglia era benestante. Mia madre cercò da subito di dare a me e a mia sorella un’educazione e un’istruzione degna della nuova borghesia della capitale dei Territori del Nord. Purtroppo ci riuscì soltanto a metà. A sedici anni, più che il costoso collegio inglese o il catechismo anglicano, preferivo frequentare l’università della strada”, continuò Jo.

Affascinato dai racconti dei marinai, passava il suo tempo libero nei pub del centro a giocare a poker, sperperando i soldi estorti ai compagni di catechismo. Frequentava il porto e i limitrofi quartieri abitati e bazzicati da prostitute, ladri e ubriaconi. Spesso non rincasava e si addormentava alla baia dei pescatori, cullato dal suono del mare; la città per lui non aveva segreti, era un vero figlio di Darwin.

Aveva tanti conoscenti ma solo due veri amici, Tim e William, con cui condivideva la passione del football. Grazie a Tim imparò ad amare il mare e sul vecchio peschereccio del padre di quest’ultimo passò giornate indimenticabili salpando reti, calando palamiti e recuperando nasse. Diventò presto un esperto pescatore, adorava le immersioni e la pesca subacquea. Scendeva in apnea con tanto di pinne e occhiali per stanare enormi piovre, nuotando il più delle volte tra squali, orche e delfini, armato solo di un rudimentale arpione.


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William Forester, invece, era un campagnolo. Suo padre aveva una fattoria oltre la collina, fuori città, in quel territorio conosciuto come la terra degli aborigeni. Le loro famiglie erano molto legate, Jo giocava insieme a Willy negli Young Buffaloes, mentre le loro sorelline frequentavano la stessa classe al collegio inglese; le loro devote e bigotte madri, la casa del Signore. Sua madre e la signora Forester, oltre ad essere devote al credo, erano il principale punto di riferimento del reverendo Billy per l’organizzazione e lo svolgimento delle attività ricreative e benefiche finanziate dalla chiesa anglicana. Gli unici due che non andavano d’accordo erano i due padri di famiglia. Forester era definito dal papà di Jo come un arrogante razzista, che sfruttava gli aborigeni sottopagandoli come mandriani.

“Forester non era uno xenofobo razzista. Aveva semplicemente un’idea di Australia diversa da quella di mio padre. Il mio vecchio era convinto che l’uomo bianco, il giorno in cui aveva oltrepassato il promontorio ed era entrato nel territorio dei Larrakia, aveva portato solamente distruzione e disorientamento nel popolo aborigeno, il quale venne contaminato dai vizi e dai peccati della civiltà dei consumi. Probabilmente all’epoca si nascondeva dietro a un dito giudicando gli altri e ribadendo che il suo mondo finiva e iniziava a Darwin. Pensiero strano fatto da uno come lui, che per ritagliarsi il suo spazio di mondo, lo aveva circumnavigato quasi tutto. Fatto sta che mio padre e Forester erano praticamente sempre in disaccordo; l’unica cosa che li metteva sulla stessa linea d’onda, era la politica. Entrambi erano favorevoli alla nascita della federazione e alla definitiva separazione dalla Gran Bretagna”

Jo ricordò con piacere l’estate trascorsa al ranch dei Forester. Imparò a sellare e a cavalcare uno stupendo brunby dal bellissimo manto nero, con il quale accompagnava, insieme all’amico Willy la mandria ai pascoli. Vivendo all’aperto come i cowboy, gli fu insegnato a condurre il bestiame, a usare il lazzo e a sparare con il fucile da caccia. Quello che però a lui rimase più impresso di quei giorni fu il paesaggio; era affascinato dall’immensa e sconfinata vastità dei territori del nord. Vide per la prima volta da vicino, toccandoli anche con mano i canguri, i koala e gli emu. Inoltre visse per la prima volta a stretto contatto con i nativi. Dai mandriani aborigeni imparò a suonare il didgeridoo, uno strano e lungo flauto di legno, apprese come lanciare il boomerang, mentre nelle notti sotto le stelle, perso tra i fumi del pituri e dagli ululati del dingo, viaggiava con la mente per raggiungere il “serpente arcobaleno”, creando con la fantasia fiumi, laghi e catene montuose.
Peccato solo che in quelle serate sotto la luna, non fosse con lui la sorella di Willy; Jo era perdutamente innamorato di Samantha.


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“Samantha Forester è stata la mia prima vera storia. Samantha era uno schianto, all’epoca mi vedevo con lei di nascosto dal fratello. Willy, se solo avesse sospettato che mi facevo sua sorella, mi avrebbe ucciso. Anni dopo, quando finalmente gli confessai la tresca con la sorella finì in rissa. Che stronzo il vecchio Willy!”, andò avanti Jo, sempre con lo stesso sorriso malinconico sulla bocca.

“John, cosa ti ha portato da figlio di Darwin a lasciare la città e a prendere il mare? La tua formazione di ufficiale della Royal Navy non è passata dai normali corsi dell’accademia militare e questo lo sappiamo, ma qual è stata la molla che ti ha fatto dire lascio tutto e prendo il largo?”, domandò Harris.

“Dottore ero e sono fatto cosi, sono un’anima irrequieta. Noi qua viviamo in un’isola che è la più grande ed estesa del mondo, però a me questo all’epoca non bastava. Volevo conoscerlo tutto, il mondo. Il pretesto per lasciare Darwin mi si presentò con il ritorno a casa dell’unico nipote di mia madre, Martin Sallivan. Mio cugino era stato un soldato del corpo di spedizione in Turchia nel 15’, arrivò da Liverpool per lavorare nel cantiere di mio padre, legai subito con lui. Prima di partire per la guerra mi promise che se fosse tornato vivo, mi avrebbe portato in Galles a conoscere il resto della famiglia. Grazie al cielo, Martin fu uno dei pochi che tornarono dal massacro di Gallipoli. Tre anni dopo, eravamo già imbarcati come marinai sulla motonave Atlantic, destinazione vecchio mondo”, rispose Jo di getto.

“Ammiraglio Thompson la prego, continui”, disse Edison visibilmente sempre più interessato dalla vita avventurosa di Jo, mentre si versava un altro goccio di whisky nel bicchiere.


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Continua...


Indice

Capitolo Primo - L'uomo giusto
Capitolo Secondo - Groote Eylandt
Capitolo Terzo - Il tempo non cancella il dolore
Capitolo Quarto - Secret
Capitolo Quinto - I Kasika
Capitolo Sesto - Chi era Jo Thompson?


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Grazie! Troppa bontà. Diciamo che sta venendo fuori un bel lavoro. Continua a seguirla. Saluti kork75

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