Theodore Perkins e Atlanta , o meglio, Theodore Perkins è Atlanta

in #ita6 years ago

Theodore Perkins detto Teddy è un personaggio di fantasia creato da quel geniaccio inaspettato di Donald Glover ed apparso nella sesta puntata della seconda stagione di Atlanta.

La serie, trasmessa da FX, ha conquistato favori di pubblico e critica grazie ad una prima stagione originale e dissacrante che ha portato la comedy a fare incetta di premi nella stagione televisiva 2016/2017. Tra i riconoscimenti vale la pena ricordare:

  • Miglior attore e miglior regia agli Emmy 
  • Miglior comedy e miglior nuovo prodotto ai WGA
  • Migliore comedy e miglior attore ai TCA
  • Miglior regia ai DGA
  • Miglior rivelazione ai Gotham
  • Miglior attore e miglior comedy ai Golden Globe


Una serie infinita di premi per una serie di nicchia, piccolissima che porta ad un unico e soprendente personaggio: Donald Glover per l'appunto.

L'attore afroamericano è qui in veste di protagonista, scrittore, produttore e regista per molti episodi.

La serie è inetichettabile ma riconoscibilissima. Un episodio di Atlanta lo si riconoscerebbe tra mille senza alcun problema. Inquadrare però la serie all'interno di un genere specifico è però impresa impossibile. Come avrete capito essa è stata definita una comedy ma non lo è, almeno non per quello che definiremmo solitamente commedia. Dimenticatevi di vedere situazioni alla Friends o alla Scrubs, qui si ride e si ride tanto ma lo si fa grazie all'assurdità degli eventi narrati e al grottesco che permea tutti i personaggi.

Di tangibile c'è la location, quella si e dal titolo della serie potete immaginare dove ci troviamo.

Il microcosmo che viene messo in scena è quello della vita degli afroamericani negli Stati Uniti di adesso, quelli di Trump, quelli di un risvegliato razzismo che era rimasto latente negli ultimi decenni, in un America che dal consumismo dei beni è passata al consumismo dei sogni e delle idee.

Immagine priva di diritti di copyright

Donald Glover ci racconta tutto questo con leggerezza, dosando in maniera magistrale la parte comica con quella amara. Ridiamo delle sventure dei protagonisti, salvo poi renderci conto dei soprusi che questa gente vive ancora oggi. 

La serie è un Unicum nel panorama televisivo contemporaneo, lo è grazie al suo humour grottesco, alla sua capacità di farci riflettere e alla sua padronanza nel documentare il ghetto afroamericano nell'america post Obama.

Una comunità fiera dei risultati raggiunti ma ancora troppo arrabbiata per le disparità sociali lampanti che lacerano la terra dei sogni, la terra dove tutto è possibile (a patto che la tua pelle sia più chiara di una cioccolata al latte).

Ma quello che esalta Atlanta e che diventa lampante episodio dopo episodio è la sua struttura caotica che ha scardinato dalle fondamenta la dicotomia preesistente nel mondo seriale che vedeva una serie essere verticale o orizzontale.

Nel primo caso parleremmo di serie procedurali basate su episodi stand alone capaci di autoconcludersi. Prendete ad esempio i vari CSI o NCIS per portare degli esempi di successo. 

Per serie Orizzontali intendiamo invece quelle serie la cui trama avanza con l'avanzare delle puntate e le singole puntate non sono quasi mai autoconclusive ma agiscono da singolo pezzo di un puzzle più grande. Prendete come riferimento Westworld o Breaking Bad o Game of Thrones.

Negli ultimi anni molte serie hanno adottato un tema ibrido divenendo ad esempio dei procedurali con un sottile filo rosso a collegare le puntate di una singola stagione o di un breve arco narrativo.

Atlanta non è ne l'una, ne l'altra.

E' molto più simile ad un procedurale ma non ne ha la forma, non ne ha assolutamente l'identità.

La serie è più un regno anarchico dove Donald Glover ci racconta quello che vuole in compagnia dei suoi amici. E'una sensazione strana guardare 3-4 episodi consecutivi di Atlanta. Si avverte distintamente che la trama stia avanzando per poi accorgersi che la trama è quasi sempre ferma. In altri casi si avverte distintamente che si stia assistendo ad una puntata che nasce, cresce e finisce divenendo autoconclusiva di natura ma che in fondo autoconclusiva non è perchè ha lasciato nello spettatore qualcosa su cui riflettere, qualcosa su cui tornare.

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Atlanta non è una comedy ma non è un drama, e se per questo non è neppure un dramedy alla Orange Is The New Black per intenderci. Atlanta non è un procedurale e neppure una serie a trama fortemente orizzontale-

E allora cos'è questa Atlanta?

A mio modo di vedere è una scatola contenente un insieme di straordinario di episodi filler d'autore.

Eh già ecco che arriva il filler, quello che ha ispirato il mio nickname.

Un filler non è altro che un episodio riempitivo che in serie orizzontali o procedurali veniva posizionato nella stagione come valvola di sfogo degli autori più coraggiosi. Un episodio che spesso non aveva nulla a che fare con la trama principale o che altre volte rappresentava l'antitesi di una determinata serie. Il filler, che nasceva come riempitivo, negli anni è diventata una forma d'arte a se stante.

Meravigliosi esempi sono rintracciabili in episodi di Fringe o Breaking Bad ad esempio, in altri casi magari il risultato è stato meno godibile e più forzato come i vari episodi musical che hanno invaso alcune serie recenti senza aggiungere nulla al prodotto.

Ecco, Atlanta la vedo cosi: una serie dove il filler regna e soverchia incontrastato ed è appeso ad una sottile linea rossa che Donald Glover cavalca a piaciemento e super a piacimento come quando vuole raccontarci gli effetti del bullismo su un adolescente o la caduta dei sogni di fronte al rapper preferito.

Nella ventina di episodi mandati in onda abbiamo assistito ad accadimenti assurdi e incredibili come un uomo che viveva con un alligatore in bagno o degli afroamericani simpatizzanti di gruppi neonazisti, il tutto sempre funzionale a quello che Glover volesse raccontare.

Theodore Perkins in questo senso è Atlanta. L'episodio andato in onda il 5 Aprile scorsa rappresenta la summa di quanto Glover è riuscito a dipingere in questo biennio.

Un afroamericano entra in una villa lussuosa per ritirare un pianoforte dai tasti colorati, rarissimo ma che il proprietario ha messo in vendita o meglio vuole regalare al miglior acquirente.

Varcata quella soglia ci troviamo in un mondo grottesco ma che ci sembra di conoscere e ci imbattiamo nella conoscenza di Theodore "Teddy" Perkins, un uomo tumefatto dal botulino la cui voce ci fa sorridere mentre ci spaventa. Bastano pochi secondi per capire che dietro quella maschera pare esserci Michael Jackson. Pochi istanti e quello che sembrava solo un piccolo tarlo nel nostro cervello diventa realtà e cosi MJ piomba nell'episodio e il suo alone circonda ogni cosa. Tutte le dicerie e le leggende sull'icona del Pop permeano i 30 minuti di puntata, con un susseguirsi di situazioni al limite dell'impensabile che contraddistinguono la serie. I minuti scorrono e noi ridiamo o meglio abbiamo un ghigno perennemente stampato sulla faccia ma non riusciamo a stare sereni. Come sempre in Atlanta un po di ansia ci affligge e noi non ce ne accorgiamo davvero.

I minuti avanzano, ridiamo (a volte a crepapelle, scrivete su google "Sammy Sosa Hat" per capire cosa intendo) e continuiamo però ad essere attenti a tutto quello che viene detto, che viene mostrato.

Arriviamo al finale, bello, divertente ma cupo, atteso ma soprendente.

La puntata è finita.

Non ce ne siamo neppure accorti.

30 minuti e Theodore Perkins è già leggenda. Un po come Atlanta, che come ogni buon filler dovrebbe fare ha riempito quel tempo con qualcosa di bello, di duraturo.

Theodore Perkins è un ode a tutti i filler del mondo. 

Atlanta è un ode alla genialità del suo autore.

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