CDUMDS. Capitolo 7 - Daniele

in #ita6 years ago (edited)

Se una canzone orecchiabile, ascoltata alla radio un paio di volte, si infila in testa senza più uscirne, la stessa cosa non si può dire per una canzone che hai ascoltato centinaia di volte, ma che ancora non esiste. La paura divora le certezze, i punti di riferimento, e fa dimenticare cose che fino a un secondo prima sembravano ormai assodate. Per questo, lungo tutto il tragitto, ripassai mentalmente la mia linea vocale, l’apporto fondamentale che avrebbe reso quel brano un successo.

Arrivammo a casa del batterista, e mi presentarono.

A Daniele e Davide alle chitarre, si aggiunsero David al basso e Damiano alla batteria. Coincidenza talmente divertente, che avevano ipotizzato per la band il nome D4funk. Ma non volevano fare rock? Vabbè.

Il consueto imbarazzo iniziale, che provavo ogni qual volta mi mettevo in gioco al cospetto di sconosciuti, stavolta era appesantito dalla rivelazione che gli avrei fatto di li a qualche minuto.
Per la prima volta avrebbero sentito il loro brano cantato, e per la prima volta avrebbero sentito come fa, ed io ero sommerso dalle insicurezze: gli piacerà la canzone? Gli piacerà come la canto? Gli piacerà come sono vestito, come sono pettinato, le mie scarpe e i miei anelli?
Ero insicuro di tutto, anche se nessuno stava facendo nulla per mettermi a disagio.

Durante la prima esecuzione, avevo la voce strozzata e cercavo continuamente lo sguardo di ognuno di loro, tentando di percepirne le emozioni. Ero ansioso di sapere cosa pensassero, di me e della canzone, allo stesso livello di importanza.

Terminata l’esecuzione, passarono due o tre lunghissimi secondi, necessari alle menti per elaborare ciò che avevano appena ascoltato, e gli sguardi – prima ancora delle parole che avrebbero pronunciato di li a pochissimo – lasciarono intendere le prime sensazioni.

Damiano, il batterista, sembrava entusiasta, e lo confermò con parole di apprezzamento. Gli piaceva davvero ciò che era venuto fuori.
David, il bassista, rideva. Ma stava ridendo da quando l’avevo conosciuto, era evidentemente una persona allegra, lo presi come un segnale positivo, anche perché non andò oltre uno sterile "va bene”.
Davide, approvò ma senza spendere troppe parole, o scendere nei particolari.
Daniele, non lasciò trasparire alcuna espressione. Era pensieroso, stava riflettendo. Lui non si poteva esprimere, avrebbe dovuto riascoltare mille volte, metabolizzare e solo successivamente avrebbe dato la sua opinione.

Provammo altre tre ore. Tre ore della stessa canzone. Decine e decine di volte.

Ero abbastanza soddisfatto, sicuramente felice di quella nuova esperienza, ma mancava qualcosa. Percepivo il distacco di Daniele, e lo accusavo. Temevo il suo giudizio.

La sera successiva, Daniele e Davide vennero a trovarmi a casa, avremmo ascoltato insieme le registrazioni, per capire, a mente fredda, come fossimo andati.
Ci mettemmo in camera mia, inserii la cassetta, e premetti play.
Ascoltammo quattro o cinque take, con attenzione e in silenzio, anche perchè la qualità era quella che era.

Alla fine dell’ascolto, parlò solo Daniele, che con la faccia del professore che boccia l’alunno all’esame, disse solamente:
-“troppe stecche , troppe stecche”-

Fu un pugno allo stomaco, lo ammetto. La mia esecuzione, sicuramente non esente da errori, era stata in ogni caso quella di un novizio, alle prese con un’esperienza difficile in una band già rodata, e dal mio punto di vista l’esecuzione canora era solo la punta di un risultato più grande, già raggiunto.
C’era un margine di miglioramento, sicuramente.
Daniele però, mi fece sentire davvero inadeguato.
Non era soddisfatto. Lo diceva, si percepiva, si vedeva, e io stavo accusando personalmente il colpo.

Ricordo nettamente quella sensazione. Da quando avevo iniziato a cantare, mi ero sentito fare solo complimenti, sinceri o no, e per la prima volta qualcuno mi metteva di fronte a una realtà diversa, nuda e cruda.
Parlammo della possibilità di migliorare, della possibilità di limare qualcosa e aggiustare qualcosa. La linea vocale tutto sommato piaceva anche a loro, e mi prolungarono la fiducia anche in virtù di un testo che ancora mancava, e che avrebbe potuto darmi una spinta, in termini di credibilità.

Quando andarono via, ero un pochino abbattuto, ed andai a cercare conforto nei miei coinquilini, che avevano sempre gli argomenti giusti per distrarsi dai problemi.

La settimana successiva provammo di nuovo, ed io arrivai senza il testo della canzone.
Avevo passato la settimana a preoccuparmi della mia performance, e il cervello non era riuscito a produrre niente che potesse assomigliare ad un testo sensato.
Mi presentai sotto casa di Daniele dichiarando che avrei voluto lavorare prima di tutto sulla mia interpretazione, a soddisfare le aspettative della band, perchè senza serenità e fiducia il testo non sarebbe arrivato.

La prova andò meglio. Erano tutti molto più soddisfatti, tranne Daniele. Lui, proprio, non riuscivo a convincerlo al cento per cento.
Però, se da quel punto di vista, professionale, era chiaramente insoddisfatto e distaccato, dal punto di vista personale, mi cercava in continuazione. Ci sentivamo praticamente tutti i giorni, ed un paio di volte eravamo usciti a bere una cosa, con la scusa della musica.
Questo rapporto, ammorbidì di parecchio le sue aspettative nelle prove successive. Probabilmente iniziò a pensare che avere un cantante non eccessivamente bravo, ma una persona affidabile all’interno della band, era un compromesso non da buttare.

Iniziammo a vederci più spesso, fino a farlo tutte le sere. Passava da casa mia, tra le ventidue e le due del mattino, e uscivamo.
Locali, pub o appartamenti di studentesse fuori sede, poco importava. L’importante era stare in giro.

Eravamo il cantante e il chitarrista di una rock band, che aveva un solo brano registrato su una cassetta, senza testo. Quest’unica definizione, bastava a generare attorno a noi due, un movimento incredibile di persone. Un movimento mai ottenuto nella mia vita, fino a quel momento.

Come nelle migliori storie, però, un giorno, mi chiamò, come sempre. Questa volta però, era arrabbiato. Arrabbiatissimo.

Aveva sciolto il gruppo, senza prendere in considerazione il parere di nessun altro.
Aveva litigato con Davide, per un motivo piuttosto futile, ma a cui dava parecchia importanza, e questo bastava a non volere più avere niente a che fare con la band.

Io rimasi allibito da quella telefonata. Non potevo, né volevo, dire la mia, perché ero l’ultimo arrivato, e tutto sommato avevamo fatto poco e niente insieme (io, non avevo ancora scritto nemmeno il testo di quell’unica canzone!), perciò accettai quello che mi disse al telefono, ed ascoltai il suo sfogo.

Passò a trovarmi la sera stessa, ed uscimmo, come sempre e come se niente fosse successo.
Io e Daniele ormai vivevamo in simbiosi, e la fine del nostro rapporto professionale, consolidò ancora di più il nostro rapporto personale.
Sarebbe diventato il mio migliore amico, il mio confidente, il detentore di segreti inconffessabili, ma soprattutto il personal trainer musicale (PTM), con consigli su suoni, strumenti, tecniche e centomila altre cose di cui era curioso, e di cui gli piaceva, e gli piace tuttora, parlarne con me.
Mi ha instradato alla conoscenza del sound e non del semplice suono, e al lavoro necessario per ottenerlo. Anche non essendo più parte della stessa band, rimanemmo legati dal morboso attaccamento alla musica, che ormai aveva contagiato irrimediabilmente anche me.


Davide, dopo lo scioglimento del gruppo, si è riappacificato con Daniele. I loro rapporti sono buoni e ci siamo visti più di qualche volta tutti e tre insieme.
David, il bassista che rideva e basta, non l’ho mai più visto dall’ultima prova, il nostro rapporto non era partito per motivi che a nessuno dei due ha importato approfondire.
Damiano, rimase molto unito con Daniele, e di riflesso con me. Riuscimmo addirittura a fare una vacanza tutti e tre insieme, con le nostre rispettive fidanzate. Ed è uno dei ricordi più belli che ho di noi.

Purtroppo oggi Damiano non c’è più, a causa di un dannato incidente in moto.

Io, come tutti quelli che lo conoscevano, preferisco però ricordarlo per quello che era e per quello che abbiamo vissuto in sua compagnia: una persona speciale ed ottimo batterista, con il sorriso contagioso, sempre ben stampato sulle labbra.

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Immagine CC0 creative commons


Dovevo di nuovo cercarmi un gruppo, ma stavolta mi sarei avvalso della consulenza di Daniele, e dei suoi saggi consigli.

Mi riaffidai al giornale, inserendo un annuncio simile al precedente, ma con una differenza sostanziale, che avrebbe cambiato tutta la mia vita:

“Cantante con esperienza, cerca gruppo per musica originale, no perditempo”.

Il mio PTM, mi convinse, senza troppa fatica, che se avessi voluto essere un musicista, mi sarei dovuto cimentare nella creazione di musica, e non semplicemente ad esibirmi in qualche locale malfamato o cerimonia cattolica.
La necessità di far uscire dal bozzolo la rockstar, era una prerogativa fondamentale di un musicista, perché scrivere un pezzo ha delle difficolta incredibilmente maggiori rispetto a studiarne uno già esistente, e da delle soddisfazioni direttamente proporzionali.
Non era importante quanti pezzi scrivessi o quanto facessero schifo, era importante esclusivamente scriverli e poter dire “l’ho scritto io”.

Prima regola per diventare un musicista di successo, dunque, è fare musica propria. Scrivere canzoni.

All'annuncio, risposero diverse band, e le vagliai insieme a Daniele.
In questo frangente, ipotizzammo anche di suonare insieme, ma era chiaro a entrambi che professionalmente cercavamo qualcosa di diverso, ed era sufficiente affidare il nostro affiatamento al semplice rapporto personale.

Prendemmo in considerazione quattro band.

  • Una band, si dichiarò rock alla "Carmen Consoli”. Sarà che stavo diventando snob, sarà che i miei ascolti iniziavano a delineare e a incasellare generi e sottogeneri, sarà che sentirmi accostare alla “Cantantessa”, per quanto lusinghiera, non era una mia priorità. Li scartai.
  • Una band, si dichiarò funky. Il loro sassofonista era il fulcro dello spettacolo, non avevano mai avuto un cantante, e avrebbero avuto curiosità di provare ad averne uno. Mi sembravano delle premesse troppo campate in aria, Daniele era d’accordo con me. Li scartai.
  • Una band, era una tributo ai Red Hot Chilli Peppers, che si incontrava in una sala prove non troppo distante da casa mia, dalle diciotto alle venti, una volta a settimana. Non era esattamente quello che cercavo, ma aveva il pro dell’orario e della distanza, non li scartai a priori.
  • Una band, faceva musica originale, precisamente Rock psichedelico anni settanta. Provavano davvero nei pressi di casa mia, in una cantina adibita a sala prove, ed avevano un nome strano: Ushas.

Decisi che innanzitutto avrei provato con la tribute dei Red Hot Chilli Peppers, sia perché era da poco passato il periodo Californication, album che era stato tramesso praticamente integralmente dalle radio, ed aveva appassionato vecchi e bambini in tutto il mondo, sia perché Rock psichedelico anni settanta mi sembrava una cosa troppo lunga spiegare.


follow.png

Sort:  

Io avrei scelto senza ombra di dubbio il rock psichedelico. Mi piacciono i RHCP ma all'epoca erano troppo mainstream. Ehi, forse lo sono ancora.

Io non ho ancora scelto. O meglio, non l'ho ancora detto. Ma i più attenti avrebbero potuto riconoscere un indizio in questo post.
I più attenti tra te @g-e-m-i-n-i e @acquarius30 😂

Bello, bello e molto emozionante questo capitolo. Mi sembrava di vedervi sul serio!
Aspetto con ansia il prossimo 😘

Stai scalzando dalla posizione di FAH @g-e-m-i-n-i, per diritto acquisito.
Grazie😉

A zi già mi vuoi spodestá dopo tutti sti mesi di fedeltà?? ( a cì è troppo anziano per me!)

Oddio, quando ho letto che Damiano non c’è più sono rimasta pietrificata. Quando sento dei ragazzi o delle ragazze che sono andati via troppo presto mi viene l’amarezza, è profondamente ingiusto.

Fichi i Red Hot 💪

No no, io non ti spodesto, ma come vedi qui le nuove leve si danno da fare.
È vero quel che dici, e lui purtroppo è andato via diversi anni fa, davvero troppo giovane.

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