TRE PER ZERO E' UGUALE A TRE - libro I - Capitolo V

in #ita6 years ago

CAP V: PER ME PARLI ARABO, ANZI GRECO

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Lo scontro dialettico era appena terminato e Garrincha si avviava per tornare a casa. Nonostante nessuno avesse capito nulla, era chiaro come da quello scontro il ragazzo ne fosse uscito vincitore. Questo nonostante il Cina avesse sentenziato, pochi secondi dopo la discussione, “Aò, per me avete parlato arabo, anzi greco”.
Fu quella frase che indusse il giovane a tornare a casa, perchè quella incitazione, quell’ “Aò” e quel “greco”, ricordò al ragazzi come il giorno dopo ci sarebbe stata l’interrogazione di greco.

Garrincha il greco proprio non lo poteva sopportare. Non ne trovava motivo di insegnamento, né alcunché di interessante. «Se è una lingua morta, ci sarà pure un motivo no?» si ripeteva a mò di filastrocca.
Ad ogni modo la professoressa era bella. Gnocca per la precisione, e pure provocante. Non che lei facesse qualcosa per provocare, ma l’accoppiata gnocca e professoressa avrebbe scatenato le fantasie di qualsiasi adolescente dell’epoca. Il sogno proibito, a pochi passi da te, capace di farti cacare sotto ogni secondo, ma che quando ti chiamava all’interrogazione con quel «Vieni?», manco fosse una sirena e tu Ulisse, ecco tu venivi subito. Punto. E non solo in senso motorio.

Detto ciò, come ogni professoressa gnocca che si rispetti, era parecchio sadica e anche un pò stronza. Ti si metteva al banco davanti, accavallando e scavallando le gambe. Ti interrogava quando scorgeva nei tuoi occhi il terrore. Era una macchina da guerra psicologica, che poteva colpirti su qualsiasi piano mentale, anzi era una gnocca da guerra psicologica sotto forma di macchina. La versione finale di Terminator, in sintesi. Quella letale.

Tornando a noi Garrincha quel giorno tornò subito a casa dopo scuola, perché era comunque il secondo semestre, e i suoi voti erano buoni in ogni materia, ma in greco erano al collasso più totale. E farsi pure l’estate a recuperare greco era troppo per quel cervello così impegnato in pippe mentali.

Per questo motivo, conscio del suo odio per la materia, il suo amore per la professoressa, e la necessità di arrivare ad un buon sei in pagella, aveva escogitato un sistema che gli garantiva la sopravvivenza: il sistema delle pagine specchio.
Spiegato brevemente, il problema delle interrogazioni di greco era la traduzione dei classici greci. Quell’anno avevamo la Lisistrata di Aristofane, e l’interrogazione consisteva in lettura con accentazione ed in metrica, seguita da traduzione.
Se era consentito riportare a matita l’accentazione sul libro, la traduzione che si trovava sotto il testo non lo era, per cui la professoressa provvedeva a coprire con un foglio la traduzione, obbligando il malcapitato ad uno sforzo mnemonico ingiustificato, almeno agli occhi degli studenti come Garrincha.

Così ci ingegnammo per evitare di studiare quella materia così noiosa. Alcuni provarono a giocarsi subito le giustificazioni, poi i nonni morti, gli zii, gli animali domestici, ma durarono un paio di mesi. Altri provarono a ricopiare il testo tradotto ai lati o a piè pagina, ma erano stati scoperti dalla professoressa.

Ma Garrincha non era come gli altri. Il giovane aveva elaborato un sistema semplice quanto geniale per poter tradurre senza problemi. Consapevole del fatto che la professoressa era gnocca, ma aveva comunque una vista non proprio d’aquila, Garrincha aveva semplicemente trascritto la traduzione di una pagina nel piè pagina dell’altra. Per capirci, la traduzione del testo di pagina uno era scritta sotto pagina due, e quella di pagina due sotto quella di pagina uno. Questo comportava che la professoressa faceva coprire il fondo pagina al ragazzo, ma questo non gli impediva di leggere la traduzione, visto che era scritta sulla pagina opposta. La professoressa era convinta infatti che coprendo la traduzione scritta a matita nel piè pagina potesse impedirne la lettura.
Così il ragazzo , tramite lo stratagemma, eseguiva gli ordini dettati, ma avendo trascritto tutto nella pagina opposta non aveva problemi a leggere la traduzione che gli serviva. Ovviamente questa veniva letta a spizzichi e bocconi, per ingenerare nella professoressa la convinzione di uno sforzo mnemonico che non si stava verificando: leggerla troppo velocemente avrebbe svelato il trucco.
E questo espediente garantì al ragazzo tre anni di sufficienze, anche perché seppe mantenere il segreto fino alla fine del liceo, di modo da non permettere che gli altri si facessero scoprire facendo saltare tutta la sua copertura. Garrincha sembrava una pecora, ma in realtà era un figlio di mignotta con una pelliccia di montone sulle spalle.

Per cui quel giorno il ragazzo doveva sbrigarsi a tornare a casa per trascrivere la traduzione in modo tale da poter mettere in atto il suo trucco e garantirsi la sufficienza. Inoltre si erano fatte l’una e mezza, per cui era il momento di giocarsi il secondo messaggio del giorno, ed ovviamente il suo intento era mandarlo a Bianca. Così uscito da scuola, testa china sul cellulare, il giovane si avviava verso la fermata dell’autobus, mentre pensava a cosa scrivere.

«Beh ormai siamo piuttosto in confidenza» disse tra se e se, «potrei anche essere più sciolto. Potrei anche solo dirle “Ciao Bianca hai finito scuola, io sto rientrando a casa”. Oppure “ Ciao Bianca hai finito scuola? Ci vediamo?”, tanto un tre in più o in meno a greco non mi cambia molto.»

«Io opterei per scriverle “Ho appena finito scuola, vorrei vederti perché mi manca il tuo sorriso” giovinotto. Lei si fa fin troppi problemi concettuali, quando una donna se è davvero donna ama essere desiderata e corteggiata.»

Era di nuovo il professore, che sull’uscio del bar di fronte alla scuola si era incuneato tra i pensieri di Garrincha. «Ma come cazzo fa a sapere che mandavo un messaggio a Bianca?» pensò il giovane, che si era piantato per strada dopo quella affermazione guardando il professore che sorrideva divertito.

«Giovinotto venga dentro, si prenda un caffè con me, glielo offro volentieri». proseguì quest’ultimo «così si da una svegliata che la vedo imbambolato».

Garrincha annuì ed entrò nel bar senza fiatare, un caffè pagato era oro di quei tempi da sbarbatello.

«Come lo prende il caffè? Normale, macchiato? Marocchino?»

«Normale professore, che poi ci metto la cremina.»

«Oh, era una squisitezza che apprezzavo anche io tempo fa. Gentilmente ci può fare un caffè normale ed un “sette gocce“?». fece il professore rivolto al barista.

«Sette gocce?» chiese il giovane.

«Sette gocce giovinotto, ha sentito molto bene. Un vero ristretto che mi permette di assaporare la parte migliore del caffè. Una consuetudine che mi trasmise mio padre, quando iniziammo ad avere l’età in cui gli adulti condividono la compagnia con la scusa di un caffè.»

«Ah. Ma professore mi scusi, così dura di meno il piacere, non crede?»

Garrincha rispose così al professore, in maniera candida, senza volerlo stuzzicare. Il professore notò questo atteggiamento con favorevole piacere, e rispose a modo suo.

«Quindi lei vorrebbe dirmi che preferisce un piacere meno forte, ma più duraturo? Un amore meno bello, ma eterno? Un videogioco noioso, ma che la diletti per anni?»

«No, dico solo che sette gocce non significa caffè ristretto, significa sporcare la tazzina» fece il giovane, dopo che il barista aveva servito i rispettivi caffè.

«A me dispiace lo sa? Mi dispiace quando un giovane come lei, con un cervello ben funzionante, debba polemizzare su tutto. Lei si permette di giudicare il mondo, quando pretende che il mondo non giudichi lei. Lo capisce questo?»
«Io non polemizzo, io dico cosa penso».

«No, lei non pensa, lei si focalizza sulla cosa sbagliata. E’ come se guardando il cielo ci si fissa sulle nuvole e non sul sole. In fondo le nuvole passano, mentre il sole resta lì, e come metafora, dovrebbe essere di agevole comprensione anche per lei.»

«Sinceramente no.»

«Giovinotto, cosa cambia se una nuvola copre il sole o meno?»
«Che la giornata è brutta o soleggiata»

«Questa è la sua percezione, il suo modo di vivere soggettivamente la sua vita. La realtà è che non cambia niente. Quella nuvola non cambia la realtà, ovvero che il sole è sempre lì.»

«Certo che è sempre lì, ma io non lo posso vedere»

«Ovviamente. Ma si sforzi giovinotto. Apra la sua mentre. Se io metto un libro dentro uno zaino, il libro c’è ancora, giusto?»

«Certo.»

«E a lei non cambia la sua impostazione psicologica nei confronti di quel libro, è d’accordo?

«Certo.»

«La stessa cosa è il sole, il caffè, ogni cosa. La forma in cui si presenta, se non altera la sostanza che si trova celata dalla stessa, è ininfluente. Lei si veste con i vestiti larghi, trasandato. Si vestisse in giacca e cravatta non cambierebbe nulla. E’ sempre lei. Per cui il mio caffè, corto o lungo che sia, è un caffè. Ed il piacere, se concentrato in un istante o diluito in qualche secondo in più, rimane pur sempre lo stesso piacere. Sta a lei decidere la forma in cui goderselo.»

«Si ma questa percezione, per quanto falsa, ad ogni modo altera il nostro punto di vista delle cose!» ribattè deciso Garrincha.

«Certemente giovinotto. Ma lei si accontenta di farsi raggirare da una nuvoletta? Si può, anzi si deve arrendere alla realtà incontrovertibile, ma non ad una nuvoletta.» rispose ironico il professore.

«Io non mi arrendo di fronte a nulla professore, se ne renderà conto.» fece il giovane, con animo alterato.

«Ne riparleremo giovinotto, non è questa l’occasione. Questa era solo una offerta di caffè. Non trova?»

«Certo, ha ragione lei professore. Ora però mi scusi devo scappare, sa ho l’interrogazione di greco domani…»

«Vada giovinotto, ma non a casa. Domani la professoressa non ci sarà, avrà il figlio con la febbre alta. Si goda la sua donzella. A lungo o per un attimo soltanto, questo lo può decidere serenamente senza il mio aiuto».

«Ah. Grazie per la dritta. Buona giornata!» fece Garrincha tutto euforico all’idea di un pomeriggio di lussuria, che si sostanziò in realtà in una sana e pudica pomiciata in pieno parco. Questione di punti di vista, direbbe il professore, il quale si congedò in maniera piuttosto enigmatica.

«Anche a lei giovinotto, e attento a dove mette i piedi!».

Ma Garrincha ormai non camminava più, quasi volava, e non si curò più di tanto di quella frase.

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tutte le foto sono di mia proprietà

Sort:  

Garrincha mi è sempre piaciuto fin dall' inizio.
Il professore sto ancora cercando di inquadrarlo ma credo che riserveranno Delle belle sorprese insieme.
Complimenti, continua a postare che voglio continuare a leggere 😘

Non ti preoccupare, lo farò... Grazie per apprezzare :-D
E avrai tante sorprese...

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