TRE PER ZERO E' UGUALE A TRE - LIBRO I - CAPITOLO VI -LUCKY MAN

in #ita6 years ago

Buongiorno a tutti, ecco a voi un nuovo capitolo delle avventure del nostro Garrincha.
Le coincidenze iniziano ad aumentare. E il nostro giovane inizia a farsi qualche domanda, ma non troppe. L'amore è più importante per ora.

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CAP. VI - LUCKY MAN

Garrincha si allontanò veloce, mentre premette “play” sul tasto del suo
Walkman.
Pochi secondi e partì la canzone “Lucky Man” dei The Verve.

«Cazzo siiiii, sono un uomo fortunato!!!!» disse mentre era pronto a
giocarsi il suo secondo sms del giorno, per mandarlo a Bianca, che ormai era
in tutti i suoi pensieri.
E pure giustamente, perché non ne abbiamo ancora parlato, ma Bianca era una sventola di prim’ordine.
Un pò scolorita in realtà, ma al tempo stesso alta, atletica, educata.
Nessuno si spiegava come un ragazzo scaciato e senza un briciolo di esperienza in fatto di donne fosse riuscito a rimorchiarsi una così, neanche lo stesso Garrincha se ne capacitava, il che lo rendeva ancora più nervoso.

«Ok, oggi la posso vedere. Lei studia sicuro. Che le dico? Mmmmm, un caffè, si un caffè. Sono due minuti, la scusa del caffè come dice il professore, si… Io sono al quarto del giorno, macché importa? Dai si un caffè è perfetto! Allora “Ciao Bianca, ti va di vederci per un caffè?” Si dai secco, rapido, deciso».

Il giovane inviò stavolta il messaggio con rapidità fulminea. Non era una questione di coraggio, ma di ormoni. Ormai il livello era pericolosamente alto, ed erano loro che parlavano per lui, era chiaro.
Mentre teneva a bada le pulsazioni del cuore che gli facevano sbattere la giugulare in gola, si vide recapitare quasi
immediatamente la risposta dalla ragazza.

“Ciao! Certo, ma se vuoi possiamo fare anche una passeggiata!” rispose Bianca, candidamente come sempre, cosa che faceva perdere ancora di più la testa al giovane, che ormai già pensava ad un anello di fidanzamento.

“Perfetto!” scrisse lui, “ dimmi un orario ed un posto e mi faccio trovare lì! A dopo!”

Bianca rispose, fissando un appuntamento ad un ora di distanza, il tempo giusto per farsi bella e far cuocere ulteriormente l’innamorato nel brodo ormonale. Ma al ragazzo ormai non importava nulla, si era di colpo trovato
il paradiso all’improvviso, e tutto il resto era superfluo. Salvo l’igiene personale.
Era buona regola di Garrincha, e di ogni suo compagno, avere sempre una inappuntabile igiene personale, per evitare di lasciare qualche sgradevole ricordo nelle sue frequentatrici. Nonostante si perdessero giornate a giocare a pallone, basket e qualsiasi altro sport, una scusa per darsi una rinfrescata la si doveva trovare sempre. Per cui anche questa volta, sopratutto questa volta, si doveva presentare nelle condizioni ideali, ma non poteva andare fino a casa e poi tornare indietro, il tempo era troppo poco.
Dopo qualche minuto a pensare la soluzione si presentò: i bagni della
metro. I nuovi bagni, specifichiamo, della metro di piazza Bologna, gli unici a Roma ad essere automatizzati.

«Cazzo sono perfetti!» pensò il giovane, «sono nuovi e a pagamento, potrò darmi una sistemata senza rotture e con tranquillità» proseguì tra se e se mentre si dirigeva alla fermata accelerando il passo.
Scese le scale dell’imbocco delle metro a due a due, Garrincha passò davanti alle macchinette per la vendita dei ticket fino ad arrivare al bagno, sulla destra.
“Inserire 1 euro e seguire le istruzioni” recitava un pannello sulla destra.

«Le istruzioni?» si chiese il ragazzo «per fare cosa? Mi devono spiegare come pisciare o lavarmi le mani?» continuò mentre inseriva la moneta.
“Buongiorno e benvenuti. Questo bagno è totalmente automatizzato e igienizzato e sanificato ad ogni utilizzo. Una volta aperta la porta potrete entrare. Dopo pochi secondi si chiuderà alle vostre spalle” disse la voce proveniente da un altoparlante.

«Cazzo che figata! Stile star wars!» fece il giovane entrando.

“Alla vostra sinistra troverete nell’ordine un attaccapanni, il lavabo, il wc.
Da questo momento avrete due minuti prima che la porta si riapra. Una volta aperta avrete trenta secondi per uscire prima che si avvii il processo di igenizzazione e sanificazione.”

«Porco cazzo. Due minuti??!!!? Cazzo mi devo sbrigare!»

Il giovane si tolse la maglietta il più rapidamente possibile ed iniziò a lavarsi le ascelle. Trenta secondi una, trenta un altra, poi passò di corsa ad una rapida sciacquata ai gioielli di famiglia, convinto che li avrebbe usati. Erano già passati un minuto e quaranta secondi, ma Garrincha doveva ancora pettinarsi, alzarsi le brache e rimettersi la maglietta. Era veloce, devo ammetterlo, ma non abbastanza.

“Attenzione, apertura porta tra dieci secondi” fece di nuovo la voce registrata.

«Cazzo cazzo cazzo!»

Garrincha non fece in tempo a finire la frase che la porta si aprì. Era appena riuscito a ritirare su i pantaloni, ma rimaneva a petto nudo e spettinato.

“Gentile cliente ha trenta secondi per uscire prima del processo di sanificazione ed igienizzazione”

«Li mortacci tua! Aspetta! Ma che cazzo non c’è un pulsante di sicurezza???!» fece il giovane mentre con la patta ancora aperta ed il pantalone sbottonato raccoglieva maglietta e zaino per uscire.

“Quindici secondi prima della chiusura porta, la preghiamo di uscire” continuava la voce.

«Un momento porco cazzo!!!!»

Garrincha prese così tutti i suoi oggetti, ma girandosi di scatto per uscire mise il piede tra la griglia del pavimento e la base del sostegno per i disabili, cadendo rovinosamente sulla spalla destra. Il viso rimase a dieci centimetri dal binario della porta scorrevole ed assistette al peggio.

“Chiusura della porta in corso”

Durò poco quel momento. Gli occhi del ragazzo osservarono lo scorrevole richiudersi lentamente. Poi cambiarono il punto di osservazione, che divenne il soffitto, da dove iniziò a diffondersi una nuvola spray dall’odore di vetril, lo stesso con cui la madre lo terrorizzava pulendo tutti i suoi oggetti più preziosi, ovvero i suoi fumetti. Nel mentre un getto d’acqua veniva spruzzato su ogni parete, mentre gli schizzi si riversavano sul resto della stanza e sul ragazzo, ormai zuppo fradicio, mezzo nudo e anche spettinato.

Durò poco, si. Ma il peggio non era passato. Perché nonostante Garrincha fosse combinato davvero una merda, il suo problema in questo momento era il fatto che era chiuso dentro una scatola, e che la porta non si poteva aprire dall’interno.

«Ma chi cazzo ha progettato questa trappola! Neanche un pulsante di emergenza!» gridò il giovane rabbioso battendo i pugni sulla porta, sperando qualcuno sentisse. Ma niente. Nessuno rispose.

Ecco, questo è il punto in cui di solito si vede la scorza, la pasta di cui è fatta una persona. Ci sono infatti due tipi di persone di solito. Chi piange e si fa prendere da isterie e quelli freddi e calcolatori. Ecco Garrincha non era nessuno dei due. Era un figlio di puttana con la pelliccia di montone, lo abbiamo già detto.
Per cui finché non se la toglieva, tutto okkappa. Ma una volta tolta, cambiava radicalmente umore e carattere. Dottor Jekill e Mr Hide, potremmo semplificare così. Ad ogni modo il ragazzo si rivestì e come se nulla fosse si mise allo specchio per pettinarsi.

«Sono fico anche così.» disse tra se e se, mentre completava gli ultimi ritocchi alla capigliatura, fradicio e con l’odore di vetril addosso. Dopodiché provò ad azionare l’asciugamani elettrico, e vedendo che funzionava, iniziò ad asciugarsi al di sotto dello stesso, sperando nel frattempo che qualcun altro dovesse pisciare e quindi potesse liberarlo da quella gabbia. Passarono dieci minuti, e visto che ormai era asciutto e che, nonostante l’odore di vetril, era perlomeno pulitissimo, decise di forzare la porta.

«Ok, vediamo ora cosa ho nello zaino. Sta cazzo di porta è scorrevole, non ci vorrà tanto per aprirla» pensò mentre lo svuotava per fare un inventario.

«Allora, libro di storia, latino, tre penne, una forbice, walkman. Mmmm. Si può fare direi» concluse dopo una rapida occhiata.

Garrincha aveva un piano che avrebbe fatto impallidire il buon Mc Guyver: voleva infilare la forbice nella fessura della porta, aprirla quel poco che bastava per infilare le tre penne. Poi fare leva sulle tre penne e la forbice per poi infilare il libro di storia. Dopodiché avrebbe inserito la forbice tra la porta ed il libro e ripetuto il tutto fino ad infilare il libro di latino. In questo modo avrebbe creato uno spazio di almeno quindici centimetri in cui inserire prima il braccio e piano piano tutto il corpo.

«Allora cara porta vediamo un pò quanto resisti. Forbice dentro. Ok… Ora le penne… Si perfetto. Libro… E andiamo! Ora forbice di nuovo…. Penne… Libro… Perfetto!»

Garrincha iniziò ad infilare il braccio. Poi la spalla, ora il petto. Poi con un colpo netto scivolò al di fuori della gabbia igienizzata e sanificata.

«Cazzooooooooooo sono troppo un grande!» urlò mentre la gente passava ignorandolo.
«E ora di corsa da bianca!»

Lo vidi correre come un forsennato per tutta la metro, poi per le scale che lo portavano all’uscita ed arrestarsi soltanto una volta arrivato alla fermata dell’autobus che lo avrebbe portato fino piazza Fiume.

«Cazzo ritardo mostruoso… Speriamo mi aspetta!»

Chiamarla al cellulare era mossa troppo azzardata. Non c’era credito e la s.o.s. ricarica era già stata sputtanata qualche giorno prima. I tre sms erano già finiti, per cui o Bianca aveva pazienza o Garrincha andava in bianco anziché in Bianca.
Passò qualche minuto, ed il 61 arrivò, ma non si arrestò nel punto della fermata.

«Che cazzo fai testa di minchia!» urlò Garrincha prima di mettersi a correre battendo sul vetro della porta per farsi aprire.

Fortunatamente il traffico consentì al bus di fermarsi. Aperta la porta lo sguardo del ragazzo nei confronti dell’autista sarebbe stato di odio puro, se questi non fosse stato l’unico soggetto capace di portarlo a destinazione.
Garrincha salì così sul bus, non disse nulla, e si mise attaccato all’autista, nel tentativo di fargli pressione psicologica. Come detto rimase qualche istante senza dire nulla, ma trasudava tensione, come Baresi sul dischetto alla finale dei mondiali del 1994, che ovviamente aveva visto e dalla quale aveva ricavato la sua prima bestemmia.
L’autista rimase in silenzio a sua volta, ma lo studiava con brevi sguardi. Mi godevo la scena, un autista impassibile contro un ragazzo che si era appena asciugato nel cesso di una metro dopo essere stato sanificato e igenizzato, e nonostante già sudaticcio per la corsa appena conclusa.

«Senta manca tanto a piazza fiume?» chiese all’autista, facendo finta di non sapere la reale distanza.

«Non molto» rispose lui.

«Ah ok grazie, che sto in ritardo, se manca poco forse ce la faccio» aggiunse il ragazzo, sperando che la frase smuovesse a compassione il conducente.

«Sicuramente» concluse quest’ultimo.

«Ma sicuramente cosa??!!!!! Maledetto testa di cazzo! Sicuramente ce la faccio? Sicuramente sto in ritardo? Sicuramente “ok grazie“?» pensò furioso. «Pigia quel cazzo di acceleratore!» continuò tra se e se.

Garrincha era in ritardo di almeno venti minuti. Appena sceso dall’autobus corse a perdifiato, finché arrivò sul luogo dell’appuntamento, senza trovare Bianca.

«Se n’è andata» disse fissando per terra nel punto in cui credeva dovesse trovarla.

«Se n’è andata» continuò a ripetersi. Che pena che mi faceva. Gli ormoni li vedevo lanciarsi dal bordo dei pantaloni per suicidarsi al suolo.

«Che coglione che sono!» gridò al cielo prima di essere interrotto da una voce.

«Perchè? A me sembri sempre così carino.»

Garrincha sgranò gli occhi per poi voltarsi. A dieci metri, bella, figa, e arrapante, c’era lei, Bianca. Camminava lenta, lentissima. No, non era lei, era la mancanza di ossigeno al cervello che la faceva andare al rallentatore.
Gli ormoni che si erano suicidati gettandosi al suolo risalirono di fretta e furia i pantaloni, resuscitando da morte, senza manco aspettare il terzo giorno. Garrincha prese a sudare, poi a sorridere, poi non so manco io che cazzo gli passava nella testa a quel ragazzo. Che esordì così.

«Ah, si?»

«Si» disse Bianca sorridendo, per poi aggiungere «e’ nuovo questo profumo? Davvero particolare. Calvin Klein?»

«Ah si si, ti piace?» rispose lui piuttosto agitato. Perché si stava parlando dell’odore del vetril in fondo, e bisogna ringraziare il pessimo olfatto della ragazza per poterlo spacciare come profumo.

«Non lo so ancora, è strano. Dove mi porti?» concluse repentinamente Bianca.

«Dove vuoi!» rispose Garrincha, mentendo spudoratamente. Avrebbe risposto “dove vuoi basta che me la dai”, ma chiaramente non poteva farlo.

Li vidi così allontanarsi verso le strade più interne del centro, consapevole che quella giornata sarebbe stata quella in cui i due avrebbero iniziato a volersi davvero bene. Uno spiantato ed una bella gnocca si potrebbe dire a vederli così, a prima vista.
Io ad ogni modo mi incamminai per la mia strada. Quando i miei passi furono a distanza sufficiente dai loro, mi misi a pensare a quei baci che a breve si sarebbero dati, e di cui potevo immaginare il sapore. Ma evitai di ricordarmi l'esito di quella giornata e distolsi l'ultimo sguardo che avevo dedicato al loro comune passo.
D'altronde non sta bene disturbare l’amore e sopratutto chi ce l’ha.

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