Venezuela mon amour… (storia... continuo_2)

in #ita6 years ago (edited)

Capii che il popolo era quantomeno diviso in due. E lo capii fino in fondo qualche settimana dopo. Una borghesia che lavorava e si dava da fare o almeno tentava, lavorando o cercando di farlo, nel commercio, nei negozi, come agenti e piazzisti, lavori precari o comunque nel settore privato, insomma in un sistema che si definiva socialista o meglio “chavista” frutto e continuazione della rivoluzione bolivariana, la maggioranza viveva un capitalismo ovattato, limitato dall’intervento dello Stato, in alcuni ambiti pressante se non quasi unico.

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La “tarjeta de credito” era il mantra di questa classe produttiva così come l’America intesa Stati Uniti*. Sopra di loro ovviamente quelli che non arrancavano più, che avevano fatto fortuna, con grandi supermercati, con le esportazioni e importazioni, di giocattoli, di pezzi di ricambio delle auto, insomma di quello che serve alla gente per vivere, quelli della finanza.
Sotto quella borghesia di mezzo il popolo bolivariano, i poveri, gli assistiti, i viventi alla giornata, come quelli di mezzo, ma senza mezzi se non loro stessi, la sola presenza fisica. Panza, quasi sempre vuota, e presenza.
C’era una paura nascosta che l’allora leader Chavez riusciva a mantenere soffocata, quella di una rivolta generale di questa gente che in mancanza di lavoro e cibo avrebbe assaltato, come già era accaduto fino allora di tanto in tanto, supermercati e negozi, lasciando tutto in frantumi compresa la vita dei borghesi di mezzo.
Per questo l’organizzazione statale ora vista come comunista ora come socialista ora solo e semplicemente chavista, distribuiva il minimo indispensabile per sopravvivere.

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Due mondi o forse tre in uno. Vite separate ma parallele con pericolosi incroci che facevano temere il peggio.
Quel giorno decidemmo di andare in centro. Prendemmo un autobus che definii alla “paperino”. Di piccola stazza una trentina di posti, vecchio modello, arrugginito e consunto, sedili unici, in pelle da due o tre posti da un lato del corridoio e dall’altro. Maniglione dietro il collo. Sopra un’aria di festa, chi cantava, chi parlava, musica sudamericana, salsa e merenghe in sottofondo, abilmente dispensata dell’autista che prendeva anche gli spiccioli del biglietto che ovviamente non esisteva. Era un servizio di accompagnamento privato, una sorta di concessione “fate quel che volete”, come per le fermate, “ si fermi li per favore” o “devo scendere all’angolo” e quindi rapido cambio di corsia dalla quarta alla prima in 20 metri e fermata a richiesta. Il tutto danzando e cantando, di felicità.

continua...

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Ciao @thesonnyboy, mi piace molto il tuo racconto sul Venezuela, attendo il prossimo post.

grazie, ma se continua così... non so se ne vale la pena... mi riferisco agli $...
apprezzo cmq la tua visita/lettura.

Questi post che raccontano di nazioni a noi distanti sono molto belli da leggere. :)

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