Gemelli

Si era rintanato sotto il lettone di mamma e papà.
Da ventun giorni.
Aveva diciannove anni, alto, magro.
Sotto il letto, si allungava e qualche volta si rannicchiava, appoggiato di lato, abbracciandosi le ginocchia.
Sua mamma gli portava da mangiare due volte al giorno.
Lo lasciavano lì, lo lasciavano tranquillo per non turbare quel momento così duro e disperato.
Sbucava fuori dal lettone solo per andare in bagno o sgranchirsi le gambe.
Poi ritornava là sotto.
I suoi si erano adattati a dormire nei letti gemelli, nella stanza dei loro due figli…gemelli.
Si chiamavano Arturo e Mario.
Arturo non c’era più, da ventun giorni.
I due gemelli lavoravano la campagna con mamma e papà.
Mario, sotto il lettone, parlava con il fratello.
“Arturo, bella cosa hai fatto…finire sotto il trattore…
Sono rimasto solo, Arturo…non immagino la vita senza di te…me ne starò qua sotto per sempre.
Ho paura.
Fuori sono tutti pronti…a scannarmi…me ne starò qua sotto…leggerò qualche fumetto, qualche spy story…mi taglierò le unghie, anche i capelli, non preoccuparti…non mi lascerò andare…
Ho paura.
Senza di te…nessuno mi proteggerà…lo sai…sono una piuma leggera in questo mondo…no no no…io non esco mai più…
Questo è l’unico posto che mi ha fatto veramente felice…l’unico posto dove sono al sicuro…
Ti ricordi quante volte ci siamo lanciati sul lettone dal comò, ridendo come iene sguaiate?
E ci abbracciavamo, felici. E di nuovo: pronti? Via! Giù! Sembrava di tuffarci nel mare.
E poi ci siamo anche tuffati, insieme, nel torrente, nella pozza dei lupi.
Pronti? Via! Giù!!!
Sempre insieme.
Quando quelli mi hanno dato una spinta, tu li hai bastonati per bene.
Ti hanno chiesto scusa.
Sei tu che mi hai fatto conoscere Lucia…bé…lì non siamo stati insieme io e te…ci vuole un po’ di intimità in certe cose…
E quando giocavamo a nascondino questo era il tuo nascondiglio preferito…sai, non te lo mai detto, ma sapevo che venivi qua sotto…ti lasciavo vincere…ogni tanto volevo fare io qualcosa di bello per te…
Non esco di qua…
Mi porterò qua sotto tutto quello che mi serve.
Ho provato ad uscire, ad andare al lavoro, là fuori, dopo che sei morto…andare dagli amici…
C’erano le ombre che mi seguivano, la notte.
Attorno, senza di te, ci sono mille ombre che strisciano e mi fanno passare sulla faccia i loro veli scuri.
Io non le voglio più vedere.
Qua sotto, tutto tranquillo.
Non sono matto, Arturo.
E’ veramente difficile.
Ho perso un pezzo della mia vita, del mio corpo…non so…senza di te, la terra trema, le ombre mi assalgono.
Di giorno, là, nei campi, corrono topi per divorarmi…sono milioni…corrono gatti magri e affamati…si mangiano qualche topo e poi mi guardano con voracità.
Vogliono me.
Su questo lettone abbiamo dormito con mamma e papà.
E li prendevamo in giro, perché ogni tanto non riuscivano a distinguere chi ero io e chi eri tu.
Uguali.

Anche a scuola era difficile distinguerci e noi ci giocavamo…ma se qualcuno se la prendeva con me, tu eri lì, pronto, digrignando i denti.
Sono grande, lo so, dovrei farmi una famiglia…magari proprio con Lucia…
Ma senza di te, c’è il vuoto di tutto, niente ha senso…
Temo che non riguardi solo i gemelli…riguarda tutti…tutti quelli come me, che sono piume leggere…
Mi ricordo una volta che tuffandoci sul lettone, io sono rotolato fuori e ho battuto la testa.
Usciva il sangue.
Io piangevo.
Allora tu hai preso il coltellino e ti sei fatto un taglio nella mano.
Hai unito il tuo sangue al mio e sussurravi: piangi? Ti fa male? Ecco il mio sangue che ti guarisce.
Io ho smesso di piangere.
C’è una corda tesa che ci lega.
E su questa corda tesa ci sono due funamboli gemelli che stanno in equilibrio, siamo io e te.
Ho paura di cadere…anzi cado sicuro…non ci sei a sussurrarmi le parole magiche: stai calmo, prendi le misure, cammina con attenzione.
E’ stata una magia la nostra unione, qualcosa di soprannaturale.
Quando eri di malumore, sentivo da chilometri il tuo nervosismo, i tuoi momenti difficili…
Tin! Scattava un allarme, suonava una campanella nella mia testa e ti venivo a cercare.
Ti ricordi quando ti ho trovato a terra, caduto dalla bici che imprecavi al vento e a tutti i diavoli.
Sono arrivato perché ti avevo sentito, dentro di me, vibrazioni…e ti ho rallegrato facendo spuntare un pulcino dalla mia giacca sgualcita.
Ti sei messo a ridere e la buriana è passata.
Sembravi proprio un pulcino bagnato, quella volta.
E’ così, ti voglio bene, troppo bene…è una montagna che mi pesa sul cuore.
Qua sotto sto più tranquillo.

Il lettone dei tuffi.
Poi siamo diventati sempre più bravi.
Ci tuffavamo a capriola, a volo d’angelo, di traverso, abbracciati.
Tranquillo, non ci proverò. Sono grande e grosso.
Qualche volta vedo le tue gambe, da sotto il letto.
E poi ecco i tuoi occhi che mi guardano.
Vieni qua sotto, Arturo, dai!
Nascondiamoci e i topi non ci troveranno.

I disegni sono dell'autore
Con questo racconto partecipo a theneverendingcontest n.47-S2 - P10 - l1 proposto da @piumadoro