Kodachrome - La nostalgia è analogica

in #ita6 years ago

Da almeno un lustro a questa parte ci siamo abituati a convivere con il fatto che Netflix abbia cambiato il modo di fruizione di un prodotto televisivo, sia esso un film, un documentario o una serie tv.

In pochi anni Netflix ha scalato posizioni nel cuore degli appassionati fornendo titoli sempre più variegati e sperimentali. Il catalogo della grande N è ormai tendente all'infinito e selezionare un titolo tra i tanti che possa catturare l'attenzione è impresa non da poco data la mole di offerte previste.

Il successo della piattaforma di Streaming è senz'altro legato al mondo della serialità. In principio furono House of Cards ed Orange is The New Black a fungere da detonatore per l'esplosione di Netflix. Un biglietto da visita che ha permesso alla casa di crescere e sfornare negli anni alcuni dei titoli di maggior impatto della serialità contemporanea come Mindhunter, Sense8, Stranger Things e The Crown, passando per Dark, Bojack Horseman e Narcos solo per citarne alcuni. A titoli originali sono stati affiancati una serie di reboot o di acquisizioni come Black Mirror, Arrested Development e Lost in Space accrescendo sempre più lo strapotere di Netflix sul fronte seriale, attestato non solo da una crescente domanda ma anche da un crescente certificato di stima da parte della critica.

Se a livello seriale Netflix si è dimostrata al top fin dalla prima ora è da constatare come negli ultimi anni si siano fatti dei giganteschi passi avanti sul fronte dei documentari con un'offerta ricchissima che ha proposto docufilm eccellenti tipo Making a Murderer e tanti documentari su cucina, musica, società, benessere, natura, salute e altro ancora.

Ma se a livello seriale e documentaristico Netflix eccelle e vola sempre più in alto, l'aspetto cinematografico rappresenta il vero tallone d'achille della grande N.

L'offerta di titoli non originali è sicuramente ampia e di ottima fattura ma quella dedicata alle produzioni originali lascia molto a desiderare.

Dal 2015 la piattaforma ha iniziato a produrre anche alcuni film, investendo sempre maggiori risorse in tal senso.

Oltre all'ottimo risultato di pubblico e critica di Beast of no Nation vi sono stati pochissimi altri film in grado di meritare una buona recensione. Da Okja a Fino all'osso, passando per War Machine e Annhilation non abbiamo avuto la sensazione di trovarci di fronte a titoli memorabili.

Immagine priva di diritti di copyright

Recentemente è stato rilasciato uno degli ultimi prodotti Netflix  (in qualità di distributore a dir la verità) da grande schermo che stavolta si presentava senza grosse pretese al pubblico. Stiamo parlando di Kodachrome, pellicola diretta da Mark Raso e con protagonisti il veterano Ed Harris, il coriaceo Jason Sudeikis e l'emergente Elizabeth Olsen.

Il film è tratto da un pezzo pubblicato sul New York Times da Arthur Gregg Sulzberger, dal titolo For Kodachrome Fans, Road Ends at Photo Lab in Kansas, che raccontava il viaggio di alcuni fotografi affezionati all’uso della pellicola Kodachrome verso il negozietto, l'ultimo negozietto che ancora la sviluppava.  

Il film si inserisce nei canoni del dramma familiare travestito da road movie dove ad un padre morente e assente si contrappone un figlio disadattato ma brillante che mai ha voluto perdonare la figura paterna. Ad inserirsi fra di loro il classico terzo uomo interessato (in questo caso una donna) che proverà a fungera da riappacificatore in questo ultimo viaggio che vedrà insieme padre e figlio.

Il pretesto del viaggio è quello di cui parla l'articolo da cui il film trae ispirazione. Il vecchio Ben (Ed Harris), vicino alla morte che è lì a 2 passi da lui ormai, desidera portare 4 vecchi rullini mai sviluppati all'ultimo e unico stabilimento in grado di svilupparli. Lo stabilimento è in Kansas e chiuderà di li a pochi giorni.

Ben esprime il suo ultimo (doppio) desiderio. Partire in un viaggio in auto verso il Kansas in compagnia di quel figlio (Matt) che aveva abbandonato anni addietro in favore di una vita avventurosa e dedita alla sua passione: la fotografia.

A congiungere i 2, almeno formalmente, è l'infermiera di Ben quella Zoey interpretata dalla Olsen che ha preso a cuore il burbero Ben e farà di tutto per assecondare il suo ultimo desiderio nonostante la riluttanza di Matt.

Il viaggio, dopo vari tira e molla, inizia e con esso inizia il viaggio emotivo che anche noi spettatori compiamo.

Il film non rivoluziona nulla, ne pretende di farlo, anzi spesso anticipiamo e prevediamo molte mosse e il finale ci appare quasi scontato, ma nella sua prevedibilità il film riesce a comunicarci qualche piccolo brivido e toccare qualche corda emotiva, senza scombussolarci, senza restarci addosso ma facendo comunque il suo lavoro.

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La figura di Ben è sicuramente la più complessa ed è qui supportata dal sempre ottimo Ed Harris (che al momento vediamo impegnato in Westworld). Ben non è alla ricerca di perdono, non lo vuole, crede di non meritarlo, è solo alla ricerca di un contatto ed ha disperato bisogno di instillare nella mente del figlio qualche buon ricordo cosi come le sue fotografie hanno fatto con il mondo nei suoi tanti anni di carriera ai vertici del mondo fotografico.

Matt scopre se stesso nel viaggio e riesce a superare alcune insicurezze senza per questo lasciarsi andare con il padre. Ma è Zoey a fungere da controaltare per entrambi. La Olsen riesce a donare una certa aura di mistero mista a ragazza della porta accanto che porta Matt ad innamorarsi e Ben ad affezionarsi e viceversa.

In questo triangolo che si instaura durante tutti i 100 minuti di visione vi è però un vero protagonista nascosto: la fotografia o meglio la macchina fotografica.

Attraverso di essa ci leghiamo al passato, ai ricordi. E' lei la vera protagonista, in un mondo sempre più digitale, sempre più interconnesso sono i ricordi stampati su carta o nel nostro cuore a contare sempre di più.

In un mondo dove non sono mai state scattate cosi tante fotografie nessuno ha più la voglia e l'abitudine di tenere in mano un rullino o stampare una foto dirà Ben ad un certo punto.

Quel padre che Matt non ha mai avuto ha semplicemente amato la fotografia, la sua passione, il suo lavoro più di ogni altra cosa. Ben è un miserabile infelice come lui stesso si definirà, ma nella sua vita ha seguito un istinto una passione che lo ha guidato verso panorami e situazioni che nessun uomo buono potrà mai seguire con la stessa devozione se non sacrificherà la propria famiglia, i propri affetti, la propria stabilità.

Matt è rimasto solo per una vita, senza una madre morta troppo presto e senza un padre che lo ha abbandonato per continuare a fotografare.

Entrambi sono rimasti soli per tanto tempo ed entrambi non hanno la forza di perdonare, di perdonarsi quel mutuo abbandono.

In quest'ultimo viaggio, come era prevedibile qualcosa si rompe per poi riaggiustarsi e Ben avrà modo di confessarsi senza cercare perdono, Matt riuscirà a perdonare senza cercare una confessione.

Il film viaggia facile lungo questo sentiero, ci rende vulnerabili insieme ai suoi protagonisti, non ci esalta non ci lascia vivere emozioni da urlo ma sottilmente riesce a farci vivere per 100 minuti la vita di Ben e Matt e il loro affetto mai sopito.

Anche il finale sarà di quelli abbastanza intuitivi ma non perderà il suo effetto, portandoci per qualche ora a pensare in analogico, sentire in analogico e soprattutto a provare nostalgia di quando il mondo e l'amore si misurava con un abbraccio e non con un like, l'amicizia era sancita da una stretta di mano e i ricordi, quelli veri, erano solo nostri, fatti di carta e di sensazioni e non solo di selvagge condivisioni social.


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L'ho visto qualche settimana fa: da amante della fotografia non potevo esimermi...
Buoni attori, buona idea di base, però mi pare che rimanga sempre tutto lì sullo schermo, senza trasmettere molto.

Hai ragione, infatti ho più volte sottolineato come il film sia prevedibile e poco originale.
Detto questo in qualche modo si lascia vedere fino alla fine e per quel tipo di storia, per quel che vuole raccontare è già un discreto risultato.
Un film da 6, 6+ non di più.
Mi piaceva maggiormente la riflessione che si porta dietro e che è demandata allo spettatore e che in conclusione ho provato a portare alla vostra attenzione.

Sono d'accordo con te. E la scena finale dei flash (ma non spoilero ulteriormente) mi è piaciuta

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